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“Jobs” delude, merita Kutcher ma lo spirito di Steve resta a Palo Alto

“Jobs” delude e lascia insoddisfatti, a digiuno degli elementi fondamentali della sua straordinaria esistenza: l’arte oratoria, la determinazione e la capacità di realizzare l’irrealizzabile. Il sensazionalismo imperante sfocia a tratti nel petetico e demolisce la naturalezza della sua unicità.
A cura di Eleonora D'Amore
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Un quadro di Einstein che campeggia in salotto e un ragazzo ambizioso che ha accontentato il mondo indossando un paio scarpe per torturare il suo tappeto andando avanti e indietro, nel vano tentativo di spiegarsi al telefono. Bretelle, tshirt bianche, barba incolta e un paio di occhialini ovali misti ad un'inappropriata ovvietà verbale: Jobs c'è ma si stenta a riconoscerlo. Svanisce e si disperde il senso di essere "hungry e foolish", svanisce la bellezza di frasi dette senza intenti sensazionalistici, si rimane immotivatamente a digiuno delle sue doti oratorie. Verrebbe quasi da puntare i piedi nel pretendere di rivivere almeno una parte della sua esistenza straordinaria e di assaporare un briciolo della sua squisita determinazione.

Sarebbe ingiusto additare Ashton Kutcher e renderlo reo di tale ingiustizia, dargli il demerito di non essere riuscito a coinvolgere ed emozionare. Ce l'ha messa tutta, invece, e già solo l'aver imparato a trascinarsi (come solo Jobs soleva fare quando non si ostinava ad andare scalzo), invece di camminare, con un paio di ciabatte ai piedi merita un plauso. I suoi sforzi interpretativi emergono così come l'incredibile somiglianza fisica (in questo l'applauso generale va alla scelta del cast, tutto molto azzeccato in quanto a somiglianze), ma purtroppo non bastano a reggere le due ore in poltrona. L'attesa ad un certo punto è incontenibile e la favola di Apple che stenta ad arrivare non aiuta.

Leggendo il libro Steve Jobs – L'uomo che ha inventato il futuro (edizioni Hoepli) si viene catapultati nella Palo Alto degli anni 80: si respira l'aria di sperimentazione degli uffici Macintosh, si apprezza quella meravigliosa voglia di ispirare un gruppo di lavoro con la motivazione personale, di dargli lezioni di vita e non solo uno stipendio, e te lo vedi quasi lì in piedi Steve, mentre con estrema semplicità sentenzia: "Siate gli autori della vostra vita, non lasciate che gli altri la scrivano per voi". Il film invece non punta sulla semplicità e perde. Preferisce restituire la sua immagine come quella di un dio a tutti costi e diventa a tratti anche un pò stucchevole nel descrivere la reverenzialità di un mondo ai suoi piedi.

Dopo aver visto The social network, film cult dedicato alla nascita del magnate Zuckerberg, si esce dal cinema con il forte desiderio di inventare Facebook (e ricondurre questo merito solo a David Fincher sarebbe riduttivo). Guardando Jobs, la mela viene al massimo voglia di morderla per diventare fruttariano come lui. Ed è davvero un peccato.

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