Le Quattro volte, il ciclo della natura nel documentario di Frammartino
Non c’è stato solo Elio Germano a far vincere l’Italia al Festival di Cannes. A raccogliere applausi, lodi e premi c’era pure Michelangelo Frammartino con Le quattro volte. Un piccolo gioiello che si è aggiudicato l’Europa Cinema Label come Miglior film europeo nella sezione Quinzaine des realisateurs del festival francese. Un riconoscimento importante preceduto dal singolare premio speciale della giuria del Palm Dog per la migliore interpretazione canina assegnato a Vuk, border collie protagonista del film. Il cammino trionfale del film di Frammartino (in uscita al cinema questo weekend distribuito da Cinecittà Luce) non si ferma solo alla Croisette. Il Sindacato nazionale dei giornalisti cinematografici italiani infatti, ha scelto di attribuire il Nastro d’argento speciale non solo a Baaria ma anche a Le quattro volte “per il realismo poetico e le emozioni di un film sorprendente”.
Opera seconda del regista di origine calabrese che ha scelto la sua terra natia, le sue campagne e i suoi monti, quale set privilegiato per rappresentare la natura quadrupla dell’essere umano. Secondo la scuola pitagorica, in ciascuno di noi risiedono quattro vite successive che pur sembrando slegate l’una all’altra, in realtà sono connesse intimamente: razionale (perché l’uomo agisce secondo volontà); animale (in quanto si ha coscienza del mondo esterno); vegetale (come la linfa dà respiro alla pianta, il sangue ci nutre); minerale (lo scheletro è formato da sostanze minerali). Il tutto si dipana in quattro episodi di morte e rinascita.
Nel primo si seguono gli ultimi giorni di vita di un vecchio pastore di Caulonia superiore. Un’esistenza fatta di credenze popolari (curare i malanni con la polvere raccolta in chiesa) e di un lavoro silenzioso fra pascolo e mungitura delle capre. Il secondo episodio, che segna il passaggio dal regno umano a quello animale, è tutto incentrato sulla vita di un capretto dalla nascita al suo primo pascolo durante il quale si smarrisce. Rimasto solo, stanco e impaurito si assopisce sotto un grande albero. Protagonista del terzo episodio un enorme abete bianco abbattuto dall’uomo per celebrare la festa della pita di Alessandria del Carretto. Albero che alla fine verrà trasformato dai carbonai in carbone di legna che si disperderà nel cielo come fumo.
Enrica Raia