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‘O core “sbagliato” di Pino Daniele e Massimo Troisi

La vita di due grandi artisti e amici stroncata da un cuore sbagliato, un cuore provato, che non ha retto l’altalena di emozioni alla quale era spesso soggetto. Un cuore, quello di Massimo e Pino, che continuerà a battere nella nostra memoria, la stessa che dalle prime luci di questa mattina si ostina a riproporci il loro sodalizio e il triste destino che li ha uniti fino alla fine.
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A cura di Eleonora D'Amore
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Chi pensa a Pino Daniele lo collega subito a Massimo Troisi, perché il loro non è stato un semplice sodalizio artistico. Le musiche di Ricomincio da tre, Le vie del Signore sono finite e Pensavo fosse amore… invece era un calesse furono un pretesto, un modo per dire al mondo che la loro unione era molto di più. "Quando", "O'ssaje comm fa o core", "Qualcosa arriverà" sono il tappeto musicale di un ricordo che scava nelle radici più profonde di Napoli, quelle degli occhi di Massimo e della voce di Pino, del rumore di quel mare che non li ha mai abbandonati. Quando morì Troisi, Pino Daniele salì sul palco e, nell'intonare Quando, disse: "Volevo cantarla con Massimo, mi hanno detto che era già qui con voi…". Nemmeno lui era pronto a lasciarlo, così come oggi fatichiamo noi a lasciare andare lui.

Chi ha vissuto la creazione di ogni loro singolo brano, ha potuto godere della bellezza dello scambio e della fusione di due anime, che ad un certo punto si sono trainate a vicenda verso i rispettivi mondi. In quei momenti Massimo diventava esperto cantautore, perfezionista del suono e della melodia, e Pino s'improvvisava regista di simpatici teatrini dietro le quinte. Il cantante prestava la scena all'attore e viceversa, come se nessuno dei due avvertisse più la dimensione e la natura della propria arte, come se ad entrambi interessasse solo appartenersi e non più appartenere a qualcosa che li estraniasse. Il confine umano di tutto questo era a dir poco impalpabile, correva di pari passo con ogni nota e s'infiltrava nelle pieghe di ogni parola, scritta tra un caffè e una risata.

Chi ricorda Pino Daniele, non può non ricordare Massimo Troisi che ascolta le prime note di O'ssaje comm fa o core mentre lo guarda estasiato e quasi intimidito da tanta bellezza, la faccia compiaciuta di Gianni Minà che assiste alla loro complicità, avulsa dall'artificiosità delle telecamere, o il sorriso divertito del cantante partenopeo che assiste alla parodia di se stesso senza proferire parola, ossequioso e attento nonostante la fama da laconico orso poco incline allo scherzo. Non può non ricordare come Napoli li ha sempre abbracciati, protetti e spesso ostentati, assurti a simbolo della migliore delle Napoli possibili. Stenterà a dimenticare i loro occhi chiusi ad ogni pizzicata di corda e strofa accennata, quando tutto intorno svaniva a favore di una magia che si è esaurita troppo in fretta.

Chi oggi piange la morte di Pino Daniele forse ha fatto lo stesso quel maledetto 4 giugno del 1994, quando un altro grande cuore ha smesso di battere, sfinito da un'altalena emotiva troppo frenetica. Entrambi avrebbero dovuto frenare, rallentare, scendere e concedergli un attimo di pace, ma nessuno dei due ha voluto farlo e ha spinto finché ha potuto, finché la sosta non è diventata forzata e irreversibile. Gli si potrebbe recriminare il fatto di non essersi fermati in tempo, ma probabilmente fermarsi prima avrebbe rappresentato una morte precoce, perché entrambi significavano poco lontani dal palco e dal loro pubblico, senza quel cordone che li teneva legati ad una chitarra e ad un foglio di carta immacolato. Una volta, riguardo la morte di Massimo Troisi, Pino Daniele disse: "Per ricordare qualcuno, la cosa migliore è chiudere gli occhi e non dire nulla" e forse è ciò che dovremmo fare oggi, custodendo avaramente ogni singola lacrima mentre le sue canzoni scandiscono i minuti di questa giornata interminabile.

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