Paolo Sorrentino: “Maradona era una divinità, io sono diventato un uomo libero troppo presto”
Dal 24 novembre al cinema È stata la mano di Dio, nono film di Paolo Sorrentino. Il regista ne parla su Fanpage.it, spiegando cosa ha significato diventare orfano all'improvviso, a 17 anni. Una libertà ricevuta e non desiderata che lo ha travolto durante l'adolescenza, un senso di abbandono spesso scambiato con profonda solitudine, fino all'arrivo del cinema nella sua vita. Maradona è la "divinità" che lo ha salvato con la mano sinistra, Antonio Capuano il mentore che gli ha indicato la strada verso la macchina da presa. "A tieni na cosa a raccuntà?" gli dice, e lui la teneva, solo che c'è voluto tempo prima che questa sofferenza riuscisse a trovare il suo posto.
Ci sono voluti 40 anni per raccontare la perdita dei suoi genitori. Si sente liberato?
Non mi sento liberato, sarebbe bello bastasse un film. Mi sento pacificato.
È stata la mano di Dio, possiamo dire che le ha salvato la vita un mancino?
Beh anche io sono mancino (ride, ndr)
Maradona l’ha incantata con i suoi piedi e le ha insegnato il valore della perseveranza. Cos’altro le ha permesso di vedere con occhi diversi?
Boh, non lo so, non è facile rispondere a questa domanda. Maradona mi ha insegnato ciò che dico nel film, cioè che la perseveranza è la piattaforma necessaria per coltivare il talento, però lui nel mio immaginario è una figura religiosa. Non è facile apprendere dalle figure religiose, sono degli unicum. Era un genio del calcio, ma era anche una figura molto carismatica, e gli insegnamenti si prendono più da persone che pensi di poter imitare. Maradona non era imitabile, ecco.
Mare e Vesuvio, la forza della natura spesso sovrasta i suoi pensieri. Le accade ancora vivendo lontano da Napoli?
Assolutamente sì, porto con me i rumori e questo aspetto prevaricatore della natura a Napoli. È una città molto viva con il vulcano, c'è il bradisismo, c'è stato il terremoto…
Sono elementi che si riflettono anche sull’emotività, immagino.
Penso di sì, in maniera misteriosa, non saprei tradurlo.
Solitudine e senso di abbandono. Nel tempo ha imparato a fare sua questa distinzione?
Diciamo che certe esperienze ti fanno capire che inconsciamente si è verificato un abbandono, che è ancora più doloroso del fatto che c'è stata una perdita, perché un abbandono presuppone che c'è stato una volontà di lasciarti. La perdita dei genitori si somma, come se fosse una perdita amorosa fra tra due amanti, dove uno lascia l'altro.
Unica fonte di ispirazione per questo film è stato Massimo Troisi. Vi univano: l’urgenza di fare cinema, la pigrizia, la passione per Pino Daniele e l’amore per Maradona. Altro?
Magari, perché per me Troisi era un vero genio. Penso sia una buona sintesi delle cose che ci uniscono, invece di diverso c'è che Troisi era simpaticissimo, io spesso risulto antipatico purtroppo.
L’importanza del conflitto nei rapporti è centrale nel suo racconto. È qualcosa che sopisce con il passare degli anni?
Io sono stato cresciuto col conflitto e non mi ha mai messo in difficoltà, anzi mi ha stimolato, ma mi rendo conto che in questo sono antico, faccio parte di un'altra generazione, dove si spiegava che il conflitto era qualcosa di necessario. Non è più una cosa dell’oggi, oggi il conflitto viene visto come una cosa che deve essere messa da parte, dove si deve raggiungere una perfezione pacifica tra le parti sempre e comunque altrimenti le cose non vanno bene. Però sono io ad essere obsoleto.
Come diventa grande un adolescente che si sente già vecchio?
Ci mette un po' più di tempo perché poi si sente vecchio ma non lo è, come dire: le pedine di colpo saltano dal gioco e ritrovarle da dove sono cadute non è così semplice. Si procede un po’ a tentativi e si spera molto nella fortuna. Io sono diventato grande, tra virgolette, anche grazie a mia moglie e ai miei figli, non penso che da solo ce l'avrei fatta. Quando ti accade qualcosa come quello che è accaduto a me, non si diventa adulti, si diventa vecchi prima del tempo. Vecchi nella misura in cui ti viene negata la giovinezza.
Il suo mentore Antonio Capuano apre a una riflessione sulla libertà dell’individuo. Lei si considera un uomo libero?
Per le circostanze che vengono raccontate nel film (la prematura morte dei suoi genitori, ndr) sono diventato libero molto presto, ma in realtà la libertà ricevuta e non desiderata è una libertà che almeno io non ho saputo utilizzare.
Però Capuano le dice che essere un uomo libero è anche esternare senza filtri quello che si pensa, no?
Sì, questo è quello che dice Capuano e lo apprezzo molto, lui è esattamente così, ma io purtroppo non sono stato così.
Non lo è tutt’oggi?
No. Ma non dò grande importanza alla libertà. L'ho avuta, a 17-18 anni potevo fare quello che volevo, ma non si sa bene che cosa farsene della libertà secondo me.
È stata la mano di Dio è stato candidato dall’Italia agli Oscar 2022. Eduardo De Filippo diceva "Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male". Semmai fosse, c'è già un nome che inserirebbe nella lista di ringraziamenti?
Non faccio ancora di questi pensieri (ride, ndr). L’altra volta quando ho vinto l’Oscar, alle persone che ho ringraziato, per cui sono stato giustamente preso in giro, ho pensato il giorno stesso della premiazione. In generale, non faccio di queste proiezioni.
Maradona disse: “Ho fatto quello che ho potuto, non credo di essere andato così male”. La applicherebbe a se stesso per la riuscita di questo film?
Sì, ma nel mio caso è vera, nel caso di Maradona era ironica, perché Maradona non è che non è andato male, è andato benissimo.
Spesso associa la bellezza a una realtà che apparentemente non la contempla. Come nasce il suo senso estetico?
Ah non lo so, sono d'accordo con lei che la mia idea di bellezza, che dovrebbe essere l’idea di bellezza di tanti, non è quella legata semplicemente al canone. La bellezza sta anche nella goffaggine, nelle timidezze, in tantissimi luoghi insoliti della vita delle persone. Che cosa per me è bello? Fondamentalmente, tutto ciò che è inadeguato.