Robin Williams e quel “carpe diem” che lo renderà eterno
D'accordo, è chiaro, si vuole mischiare il citazionismo con la morte, il sacro col profano. La morte di Robin Williams imporrebbe a molti, da chi lo adorava a chi lo considerava una star minore, il dovere di confrontarsi con la statistica, o forse la casualità, insomma quel meccanismo delirante che ha voluto due giganti del cinema, lui e Philip Seymour Hoffman, giungessero alla morte rovinando inesorabilmente lungo due vie ripide e parallele, troppo similari per non essere associate ed accostate. Il poco tempo che divide questa tragica notizia e quella del febbraio scorso connoterà per sempre il 2014 con una particolare, triviale semplificazione giornalistica non troppo lontana da "Annus horribilis di Hollywood". Si sprecheranno gli accostamenti bipolari di genio e di pazzia, oltre che i riferimenti a quelle dipendenze, uno dalla droga, l'altro dall'alcol, che a bocce ferme fanno sembrare così unite e indistinguibili le due vicende.
Associazioni mentali di cui molti scriveranno e terranno conto senza colpe, semplicemente perché molti, quasi tutti, le credono la sola possibile e ragionevole chiave di lettura da utilizzare davanti alle morti eclatanti e patinate del mondo dello spettacolo. Ma tentiamo l'esagerazione di sottrarre dalla tragicità e dalla cultura del R.I.P questa scomparsa. Per una volta facciamolo e osiamo cambiare, cerchiamo di prodigarci nell'esperimento arduo di optare per una scorciatoia, evitando la trafficata strada principale; proviamo ad ergerci su di una cattedra e scegliere per un istante di concederci il lusso d'osservare la cosa da un punto di vista diverso, un altro punto di vista.
Non sentite niente? Non è sollievo per la mente, un'esperienza rigenerante, provare a pensare ad esempio che alla storia del Carpe Diem, sulla quale aveva imperniato un'intera carriera da attore, Williams ci credesse davvero, ciecamente? Insomma, come ci si sente a credere che l'attore avesse colto gli attimi della sua vita con una tale solerzia e severità da essere, per i suoi spettatori, solo ed esclusivamente la perfetta personificazione ed identificazione con i ruoli che interpretava? Compensa il dispiacere, seppur lecito, credere che Williams tenesse lontana da lui l'idea della morte come qualcosa di tragico e lugubre, ma la considerasse semplicemente un passaggio obbligato, di cui pare aver accelerato i tempi d'avvento. Un passaggio ineluttabile durante il quale si diventi, tutti quanti, semplice "cibo per vermi".