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Vanishing on 7th street, la recensione

La pellicola racconta la storia di quattro personaggi nel giorno in cui qualche entità superiore, e maligna, ha causato un black-out totale in tutto il mondo e portato via l’intera umanità, tranne pochi superstiti.
A cura di Ciro Brandi
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Si tratta di un horror post-apocalittico diretto dal giovanissimo – e talentuoso – regista Brad Anderson, già director di “Session 9”, “L’uomo senza sonno” (2004) e “Transsiberian” (2008), quest’ultimo inedito in Italia.

Vanishing on 7th street” è stato presentato  nella sezione Rapporto Confidenziale al 28esimo Torino Film Festival, ma ha avuto una tiepida accoglienza. I protagonisti sono John Leguizamo, Hayden Christensen e Thandi Newton

La pellicola racconta la storia di quattro personaggi nel giorno in cui qualche entità superiore, e maligna, ha causato un black-out totale in tutto il mondo e portato via l’intera umanità, tranne pochi superstiti. Si salverà solo chi riuscirà a trovare una fonte  di luce alternativa, allontanandosi dal buio.

Il prologo iniziale è la parte più riuscita di tutto il film, poiché ci porta in un cinema che all’improvviso si svuota sotto gli occhi di uno dei protagonisti. Nel corso della storia però, il ritmo tende a frantumarsi, forse per colpa di una sceneggiatura non all’altezza, o per scelte attoriali non del tutto azzeccate. Le aspettative erano tante e pressanti, soprattutto perché Brad Anderson è un regista che si è sempre distinto per la sua bravura, il suo piglio serio e cupo (vedi “L’uomo senza sonno”) e invece in questo ultimo lavoro tutto ciò si perde, sembra forzato. L’atmosfera ricorda molto quella dei film di M.Night. Shyamalan (“Signs”, “E venne il giorno”) o altri film sullo stesso filone tipo “L’ultimo uomo sulla terra”, fallendo quindi sul fattore “originalità”. La regia e la fotografia sono da apprezzare, così come alcune scene veramente ben ideate, ma non bastano a rendere il prodotto qualitativamente da ricordare, sono solo l’impalcatura di un palazzo senza finestre.

Buio e luce, male e bene, storie di personaggi comuni messi improvvisamente di fronte a sensi di colpa, ansie, frustrazioni per poi finire in una chiesa (guarda caso!) sinonimo e simbolo di “luce” in senso molto più ampio. Sono proprio le storie dei protagonisti ad essere sviluppate male. Luke, Rosemary e Paul sono alla ricerca dei loro cari scomparsi e di loro stessi, braccati da ombre che li circondano e non gli danno scampo, ma gli spunti sulla loro parte psicologica sono davvero pochi. Si poteva fare molto ma molto meglio.

Voto: 5-

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