Woody Allen a Fanpage.it: “Non sono finito, il mio prossimo film sarà un nuovo Match Point”
Si era detto, tempo fa, che al mondo ci sono più film di Woody Allen che granelli di sabbia. Una stima decisamente approssimativa, che aiuta però a rendere l'idea della perseverante presenza del cinema di Allen nelle nostre vite, a dispetto di qualsiasi ciclone mediatico provi a stravolgere la sua, di vita.
Il film di Woody Allen fa fatica dopo lo scandalo molestie
Il maestro newyorkese torna con il suo ultimo film Rifkin's Festival, 49esima fatica da regista che era stato visto solo nelle sale spagnole prima di essere bloccato dal Covid. Rifkin's Festival arriva in Italia dal 6 maggio (solo in sala, non in streaming) e se l'Europa accoglie Allen, c'è ancora un po' di freddezza da parte dell'America nei suoi confronti. I rigurgiti dello scandalo per le accuse di molestie di sua figlia Dylan Farrow sembrano farsi ancora sentire e ad oggi non è prevista una distribuzione del film nei cinema statunitensi. Non ancora, almeno, visto che Woody Allen si dice certo di una svolta in un'intervista a Fanpage durante un incontro con la stampa:
Tutti i miei film sono stati visti in America e sono sicuro che anche questo arriverà nelle sale […] Ci sono già delle proposte per portarlo nei cinema americani.
Rifkin's Festival è uno dei film su cui il cinema italiano proverà a puntare per rafforzare il messaggio delle riaperture e di un ritorno alla normalità. Allen, in questo senso, è spot del migliore tradizionalismo: "Per me il miglior modo per godersi un film è andare in sala, sedersi davanti a un grande schermo con altre decine di persone e concepirlo come un'esperienza sociale. Vedere un film dal divano di casa, in televisione, al computer, o magari sul piccolo schermo di uno smartphone, rinnega interamente l'estetica del cinema".
Rifkin's Festival, Woody Allen e la novità
Ma mentre attendiamo di capire che ne sarà della sala come liturgia sociale, possiamo goderci il nuovo film del regista, una storia di cinema sul cinema. Il protagonista è un Wallace Shawn che si rivela forse il miglior alter ego di se stesso mai scovato da Allen. Nel film Shawn è Mort Rifkin, ex insegnante universitario in età avanzata, con ambizioni letterarie così alte che mai riuscirà a concretizzare. Si ritrova al Festival del cinema di San Sebastian con la moglie Sue (Gina Gershon), agente di cinema invaghita del regista che rappresenta, agli occhi di un pretenzioso e borioso giovane cineasta (interpretato da Louis Garrel) che pensa di risolvere con un suo film il conflitto israelo-palestinese. È questo, quindi, lo sguardo sul mondo di Allen? Così si approccia a ciò che è nuovo, sia nel cinema che nella vita?
Non direi. Come in ogni situazione, che tu sia un regista di cinema, un chirurgo o un poliziotto, nel nuovo troverai sempre il meglio e il peggio. Molti sono nel mezzo, né geni né terribili. Questo è ciò che penso dei registi di cinema, pochi sono grandi talenti, alcuni si preannunciano eccezionali per poi svanire, ma fondamentalmente nel mezzo ci sono i buoni registi. Non sono Orson Welles, Bergman o Fellini, ma fanno film capaci di intrattenere le persone, spesso buoni e altre volte no. Ogni tanto emerge un regista particolarmente dotato e, generalmente, il mondo riesce a riconoscerlo.
L'Allen ipocondriaco rivive nel protagonista
Mort Rifkin è di quei personaggi feticcio per il regista, proprio perché sembra rubarne le espressioni, il modo di parlare, soprattutto quello di pensare e sentire. Nel bel mezzo di una fase di apatia creativa e sentimentale della sua vita avverte fastidi al cuore che la moglie liquida come immaginari, ma che sembrano essere segnale della volontà di scuotersi, per sentire qualcosa. Allen, 85 anni, non nega che questo aspetto di Rifkin sia un riflesso del suo carattere:
Vengo insistentemente accusato da amici e familiari di tradurre le mie ansie e i miei flussi creativi in sintomi medici. Ho la reputazione, per questo, di essere ipocondriaco. Non lo sono, ma mi rendo conto che spesso i miei conflitti creativi possono trovare la forma di un dolore o un fastidio. È una cosa che oggi posso controllare molto meglio grazie all'esperienza.
"Temo che il cinema non tornerà quello di prima"
Se sul futuro del cinema ha pessime aspettative ("Temo che non tornerà più quello di prima e che si sposterà sempre più nel salotto di casa"), Allen è meno pessimista su quello che accadrà alle persone dopo la pandemia, in termini di interazioni e abitudini: "Credo che le interazioni umane torneranno esattamente identiche a prima grazie a ciò che sta facendo la scienza. Ci saranno certamente dei cambiamenti cosmetici, ma fondamentalmente le persone continueranno ad avere le stesse ambizioni, desideri, debolezze. Credo che le esperienze umane non ne risentiranno". Di sicuro non cambieranno – e non sono cambiate con il Covid – le sue abitudini quotidiane:
Se sei uno scrittore non c'è molta differenza tra l'essere sequestrato da una quarantena o da qualcosa che stai scrivendo […] È il solito stare a casa, una sorta di solitaria impresa domestica. Non ho certamente amato il concetto di lockdown, mi manca molto poter vedere gli amici, ma l'arrivo della pandemia, in questo senso, non ha rappresentato per lo scrittore un cambiamento così radicale.
L'Europa, l'America, l'Italia secondo Allen
A connotare Rifkin's Festival è un omaggio totale al cinema europeo, che ricorre nei sogni di Mort come un monito attraverso ambientazioni felliniane e bergmaniane. Sottotesto del film è la differenza netta tra cinema americano ed europeo di cui il protagonista è convinto e che Allen rimarca:
Dopo la Seconda Guerra Mondiale il cinema europeo si è dimostrato maturo in senso artistico, non importava quanti soldi si facessero con un film, ma quali nuove interessanti innovazioni si potessero realizzare. Negli Stati Uniti il cinema è rimasto invece immaturo, trainato prevalentemente dal criterio del profitto. In Europa erano già evoluti in termini di tecniche di rappresentazione e complessità dei soggetti. Mentre crescevo io c'era la sensazione che il cinema americano fosse infantile e banale se comparato a quanto accadeva con il cinema europeo.
Ma Europa significa anche Italia, dove ha girato un suo film in passato (annoverato tra i non memorabili) e dove non esclude di tornare, forte anche del sodalizio con il direttore della fotografia Vittorio Storaro:
Niente mi piace di più che lavorare in Europa, soprattutto perché in Europa ci sono persone disposte a investire nei miei film (in questo caso l'italiana Wildside, ndr). Per me e la mia famiglia non c'è niente di più piacevole che stare a Roma, Parigi, Londra, in Spagna, per girare dei film. A Roma ho avuto un'esperienza bellissima e mi piacerebbe molto rifarlo.
Woody Allen allergico alle serie tv
L'oltremondo ideale per Allen resta il cinema. L'esperienza di una serie Tv l'ha già vissuta nel 2016, con "Crisi in sei scene", e l'ha ampiamente rimpianta. Oltre al fatto che di serie Tv, come lui stesso ammette, non ne guarda: "Se sono a casa preferisco guardare lo sport in Tv, basket e football, o al massimo i telegiornali. Non è che non veda serie per un preconcetto religioso, so che ce ne sono di ottime e sono tanti gli amici che me ne parlano. Semplicemente guardo altro".
Meglio il libro o il film?
Così come c'è stato l'esperimento della scrittura per Allen, con l'autobiografia A proposito di niente divenuta un caso letterario soprattutto perché boicottata negli Stati Uniti in seguito alle polemiche per quel capitolo complesso e confuso degli scandali sulla sua vita privata, su cui pure si era espresso tempo fa: "Presumo che per il resto della mia vita un gran numero di persone penserà che io sia un predatore". Rispetto all'esperienza della scrittura, invece, il regista parla così:
L'ho trovato più complesso, sono cresciuto leggendo pochi libri e vedendo molto cinema, quindi il mio istinto naturale si è rapportato meglio all'industria del cinema di quanto non sia riuscito a fare con l'editoria. Nel cinema ho un'istintiva consapevolezza di ciò che voglio fare, non dico che tutto ciò che faccio mi venga bene, ma so istintivamente cosa voglia ottenere e come riuscirsi. In letteratura ci sono milioni di possibilità di passare da una parola all'altra, mentre il film ti impone limitazioni finanziarie, di tempo, fisiche. Queste sono tutte cose che per un libro non esistono: puoi fare esattamente ciò che vuoi, creare il mondo che più ti piace e rimodellarlo migliaia di volte, se necessario, cambiando delle parole. Queste sono però le ragioni per le quali trovo molto più semplice scrivere un film che scrivere un libro.
Il successo di Joe Biden visto da Allen
Sui temi della politica Allen ha sempre evitato di sentenziare, ma quando gli viene chiesto di Joe Biden, non ha dubbi: "Credo sia un buon presidente, che le sue idee siano giuste e che lui sia la persona giusta per guidare il paese ad affrontare il momento caotico che stiamo attraversando".
Nel suo futuro un nuovo Match Point
Sulle aspettative per Rifkin's Festival non si pone grossi dilemmi: "Non sono di quei registi che si chiedono quanto un film abbia incassato, in quanti l'abbiano visto. Vale anche per Rifkin's Festival, l'ho scritto più di un anno e mezzo fa e per me è già passato, non me ne preoccupo, in questo momento sono già proiettato al prossimo film. Ho avuto la fortuna di poterne realizzare 49 in carriera e nella maggior parte dei casi il pubblico ha apprezzato, talvolta più e talvolta meno. Ma è una cosa che non puoi controllare: puoi fare un film per te eccezionale che non conquista il pubblico, uno meno buono ma molto amato dalle persone". E a proposito della sua scrittura prolifica, c'è già un altro progetto da realizzare, ancora in una capitale europea:
Ho una sceneggiatura già pronta, le riprese erano previste la scorsa estate a Parigi, ma la pandemia ha cambiato tutto. Lo riprenderemo quando sarà possibile. Posso dire solo che si tratta di un film che si muove sulla stessa linea di Match Point.