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90 anni fa nasceva Marlon Brando, icona intramontabile del cinema mondiale

Il mito di Marlon Brando è incastonato nella storia del cinema grazie a pietre miliari come “Fronte del porto”, “Il Padrino”, “Ultimo tango a Parigi” e tantissime altre. Icona inarrivabile, dal carattere ribelle e dalla vita privata tribolata, oggi avrebbe compiuto 90 anni.
A cura di Ciro Brandi
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Il 3 aprile 1924 nasceva l’icona cinematografica per eccellenza, colui che è stato candidato otto volte all’Oscar, vincendone due, girando solamente una quarantina di film, tra i quali però ci sono capolavori assoluti come “Fronte del porto”, “Un tram che si chiama Desiderio”, “Il Padrino” e “Apocalypse Now”. Marlon Brando è il prototipo dell’artista ribelle, affascinante, anticonformista, simbolo di virilità e con talento da vendere, il divo inarrivabile che con i suoi personaggi ha fatto sognare intere generazioni.

Gli esordi

Nato in Nebraska, studiò alla Libertyville High School dell’Illinois e in seguito alla Shattuck Military Academy, nel Minnesota, dalla quale però fu espulso. A 19 anni decide di andare dalla sorelle Jocelyn e Frances a New York, dove inizia a frequentare la scuola d’arte drammatica The Dramatic Workshop, studiando con la celeberrima Stella Adler, dalla quale apprende alla perfezione le tecniche del Metodo Stanislavskij. Il debutto avviene nel 1944, a 20 anni, a Broadway, nella commedia “I Remember Mama”, di John Van Druten. Terminato gli studi all’Actor’s Studio di Lee Strasberg, prese parte allo spettacolo teatrale “Un tram chiamato Desiderio”, di Tennessee Williams, nel 1947, e alla sua trasposizione cinematografica, del 1951, diretta da Elia Kazan, con la fantastica Vivien Leigh. Il ruolo del rozzo e sensuale Stanley Kowalsky lo impose come sex-symbol dell’epoca e gli regalò la prima nomination agli Oscar.

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I grandi successi: da “Viva Zapata!” a “Gli ammutinati del Bounty”

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Nel 1952 gira “Viva Zapata!”, nel ruolo del protagonista Emiliano Zapata e fu premiato al Festival di Cannes come miglior attore e, l’anno dopo sarà Marc’Antonio nel kolossal “Giulio Cesare”, di Joseph L. Mankiewicz, che gli fece guadagnare un’altra nomination agli Oscar e un BAFTA. L’immagine più iconica che, tuttora, abbiamo di lui, è quella in sella alla moto Triumph Thunderbird 6T, con giacca di pelle e jeans, tratta dal film “Il selvaggio”(1954), di Laszlò Benedek. Nel 1954 arriva il suo ruolo più importante, quello del lavoratore portuale ed ex promettente pugile Terry Malloy in “Fronte del porto”, diretto sempre da Elia Kazan, che gli valse l’Oscar come miglior attore protagonista. Altri successi furono lo storico “Desirée”(1954), dove interpretava Napoleone Bonaparte, il musical “Bulli e pupe”(1955) e “Sayonara”(1957),che suscitò molto scalpore per il tema del matrimonio interrazziale ma portò a casa ben 10 nomination agli Oscar. Brando ha lavorato anche con la nostra Anna Magnani in “Pelle di serpente”, di Sydney Lumet. Nel 1961 decide di dirigere il film “I due volti della vendetta”, nel quale interpreta il ruolo del bandito Rio, che viaggia in lungo e in largo per il vecchio west a caccia di tesori. La pellicola fu un flop al botteghino ma accolta bene dalla critica. Brando si rifece l’anno dopo con il drammatico “Gli ammutinati del Bounty”, dove interpretava il ruolo del primo ufficiale Fletcher Christian. La pellicola narra la storia del vero ammutinamento del Bounty, del 1789,  e fu candidato a sette premi Oscar. Brando era molto attivo anche sul fronte umanitario e, nel 1963 si schierò in favore delle minoranze nella marcia per i diritti civili a Washington, assieme ad altre star dell’epoca.

I grandi flop

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Dopo quasi 12 anni di clamore, arrivò un periodo di grandi flop. Alcuni film come “Missione in Oriente”(1963), “I due seduttori”(1964) furono ben accolti dalla critica ma non portarono persone in sala. A risollevare la carriera di Brando ci pensò il regista Arthur Penn con il western “La caccia”, capolavoro del 1966, con Robert Redford e Jane Fonda. Il successo di un tempo, però, sembrava svanito e neanche i successivi “Riflessi in un occhio d’oro”(1967) e “Candy e il suo pazzo mondo”(1968). L’italiano Gillo Pontecorvo gli propone il ruolo di Sir William Walker nel drammatico “Queimada”, film drammatico incentrato sulla condanna di ogni forma di colonialismo, che rilanciò la sua immagine, incassando molti più soldi dei film precedenti, ma senza boom.

Il clamore de “Il Padrino” e le polemiche di “Ultimo tango a Parigi”

In quegli anni di depressione, durante i quali aveva pensato addirittura di ritirarsi dalle scene, il grande Francis Ford Coppola lo scelse per lo storico ruolo di Don Vito Corleone nel cult “Il Padrino”(1972). Inizialmente, il regista e la Paramount avevano forti dubbi perchè Brando, pur 47enne, aveva ancor un aspetto molgo giovanile, ma al provino fu fenomenale e sbaragliò la concorrenza di star come Burt Lancaster, Orson Welles e Laurence Olivier. La parte di Don Vito gli regalò il secondo Oscar, ma l’attore si rifiutò di ritirarlo perchè in disaccordo sui maltrattamenti degli indiani d’America da parte del governo degli USA e di Hollywood. Al suo posto, mandò una squaw, Sacheen Littlefeather, nativa americana, a leggere il suo messaggio di protesta. Sull’onda del successo de “Il Padrino”, il nostro Bernardo Bertolucci pensò di coinvolgerlo in un progetto turbolento e porno-erotico, dopo il rifiuto di Alain Delon e Jean-Paul Belmondo. Il film era “Ultimo tango a Parigi” e, per fargli accettare il ruolo di Paul, la United Artists gli offrì 250mila dollari e il 10% degli incassi. La parte di Paul, uomo di mezza età che riflette sui suoi fallimenti, ha molte analogie con la vita di Brando, ma le scene forti e di sesso (indimenticabile quella col burro, con Maria Schneider) scatenano polemiche a non finire. In italia viene denunciato addirittura per oscenità e la Corte Suprema di Cassazione, nel 1976, ne sancì il sequestro e la distruzione di tutte le copie.

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L’ultimo periodo “fantascientifico”: “Superman” e “Apocalypse Now”

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Nel 1978 è la volta di “Superman”, diretto da Richard Donner, dove Brando vestiva di panni del padre del supereroe, Jor-El, in un cameo pagato a peso d’oro e, sempre nello stesso anno, gira un altro cult, “Apocalypse Now”, di Francis Ford Coppola, nel ruolo del colonnello Kurtz, una sorta di semidio ritiratosi nelal giungla e venerato dagli indigeni. Tutto ciò, poi, si rivelerà quandi come una predizione del suo futuro. Infatti, nel 1980, l’attore annuncia il suo ritiro dalle scene. Tuttavia, Brando comparirà anni dopo in altri film come “Don Juan De Marco – Maestro d’amore”(1995), al fianco di Johnny Depp e “The Score”(2001), accanto a Robert De Niro. L’attore muore il 1°luglio 2004, ma nel 2006, Bryan Singer lo fa rivivere sul grande schermo, grazie ad immagini di repertorio, nel suo “Superman Returns”.

La tribolata vita privata

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Sul fronte privato, la vita di Marlon Brando è stata una diatriba continua. L’attore si è sposato per la prima volta nel 1957 con l’attrice Anna Kashfi, dalla quale ebbe Christian Devi che, nel 1990, fu condannato a 5 anni di carcere per l’omicidio di Drag Drollet, fidanzato della sorellastra Cheyenne. L’uomo riteneva che la maltrattasse e, durante il processo, si dichiarò colpevole. In seguito, l’attore Robert Blake accusò Christian di essere coinvolto nell’uccisione di sua moglie Bonnie Lee Backley, con la quale il figlio di Brando aveva una relazione. Ad ogni modo, Christian morì nel 2008, all’età di 49 anni, per le complicazioni di una polmonite. Nel 1959, Marlon Brando divorziò da Anna e l’anno dopo sposò l’attrice messicana Movita Castaneda ed ebbe altri due figli: Miko e Rebecca, ma si separò anche da lei e nel 1962 sposò l’attrice Tarita Teriipia, conosciuta sul set del film “Gli ammutinati del Bounty”. La coppia ebbe due figli: Simon Tehotu e Tarita Cheyenne e, anche stavolta, arrivò l’ennesimo divorzio. Tempo dopo, ebbe una fugace relazione con la cameriera Christina Maria Ruiz, dalla quale ebbe altri tre figli: Ninna Priscilla, Myles Jonathan e Timothy Gahan. Non finisce qui, perchè Brando ha avuto altri tre figli da donne sconosciute: Stephen, Michael, Angelique e adottò Dylan, Petra, Maimiti e Raiatua. Negli ultimi anni della sua vita arrivò a pesare quasi 160 kg  e, spesso, si ritirava sull’isola di Tetiaroa, in Polinesia francese, di sua proprietà, proprio per sfuggire all’occhio indiscreto di fotografi e curiosi.

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