Cella 211, il carcere che ha stupito la Spagna
“In carcere il mondo è uguale, ma in mp3”. Più concentrato, più intenso. E' questa la metafora, concepita da un detenuto, che ha ispirato Daniel Monzòn e lo sceneggiatore Jorge Guerricaechevarrìa nella realizzazione di Cella 211, thriller carcerario che ha vinto 8 Goya, teso e avvincente che in Spagna (tra cui quello per il miglior film, la regia, la sceneggiatura). Cuore del film è proprio la cella del titolo dove, durante una rivolta, resta chiuso una guardia carceraria al primo giorno di lavoro. E che per sopravvivere dovrà fingersi un carcerato.
“Film come questo parlano della società, perché il noir è un ottimo veicolo per raccontare e criticare la società e il mondo” dichiara lo sceneggiatore, che ha tratto il film da un romanzo di Francisco Pérez Gandul e che ha visitato col regista molte carceri, per rendere il film il più realistico possibile e lontano dagli stereotipi del cinema americano (anche se il miglior esemplare recente è Il profeta, ottimo film francese di Audiard, trionfatore ai Cesar). Un film che parla di eroi e anti-eroi come Malamadre, il violento leader della rivolta interpretato da Luis Tosar, specializzato in ruoli dal forte contenuto sociale: “Io e i registi con cui lavoro siamo riusciti a dipingere personaggi che si trovano al margine della società che però puoi incontrare per la strada” racconta l'attore.
Senza ispirarsi a nessun film precedente, ma lavorando solo su ricerche Monzòn e soci hanno creato un prison-movie duro, violento, tesissimo, costruito su un crescendo magistrale che la nervosa messinscena digitale rende palpabile. C'è molto spettacolo e qualche schematismo, ma anche un occhio crudo sulla società spagnola: “La situazione delle carceri è migliorata negli ultimi tempi, ma ci sono situazioni terribili, specie riguardo i malati: alcuni detenuti sono considerati immondizia che viene allontanata per non sentirne il cattivo odore”, dichiara Guerricaechevarrìa. Gli fa eco Tosar, principe in un cast di tutto rispetto, che chiude la presentazione romana con uno slogan politicamente scorrettissimo: “Non fidatevi delle autorità”. Più chiaro di così.
Emanuele Rauco