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Denuncia e dramma in I want to be a soldier [la recensione]

E’ la storia di Alex, il quale ha un amico immaginario, con cui compensa le disattenzioni che i genitori hanno nei suoi confronti, a causa dell’arrivo in casa di due gemellini.
A cura di Ciro Brandi
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La pellicola è stata presentata l’anno scorso al Festival del Cinema di Roma. Dietro la macchina da presa c’è Christian Molina e il film è prodotto da Valeria Marini, la quale compare anche in un cameo come maestra del protagonista.

E’ la storia di Alex, il quale ha un amico immaginario, con cui compensa le disattenzioni che i genitori hanno nei suoi confronti, a causa dell’arrivo in casa di due gemellini. Pian piano, le immagini di guerra che popolano le reti televisive lo convincono che far parte dell’esercito sia l’unica cosa bella da fare da grandi. La violenza pian piano inizia ad insinuarsi nei suoi comportamenti, distruggendo se stesso e la sua famiglia in un susseguirsi di eventi tragici e tristi.

Ovviamente il fine della pellicola è didascalico, morale, forse anche troppo. Il fatto che la televisione trasmetta ogni giorno immagini crude e violente non è una novità su cui poter costruire un’intero film. L’incomunicabilità, la solitudine, la violenza indotta, la voglia di essere capito del protagonista sono tutte cose da denunciare, ma non più al cinema. La pellicola in realtà sembra un documentario, adatto alla televisione, sul comportamento evasivo dei genitori e sulla loro incuria nei confronti dei figli, ai quali non sono state date regole precise. La gente oggi, a nostro avviso, non ha voglia di andare al cinema a vedere la “denuncia dell’ovvio” o a farsi fare la ramanzina, preferisce di gran lunga la commedia.

Retorico e moralistico. Apprezziamo la voglia di far qualcosa di utile per la società, ma il cinema non ha l’immediatezza e la forza della tv in questi casi, purtroppo.

Voto: 3

I want to be a soldier

il dramma e la violenza di Alex come denuncia dell'incomunicabilità dei nostri giorni

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