Si può entrare nella storia del costume con un solo film o, ancora di più, con una sola scena? Anita Ekberg di film ne ha fatti una sessantina dei quali La dolce vita è l’unico ad aver vinto la prova del tempo (assieme al segmento Le tentazioni del dr. Antonio di Boccaccio ‘70, sempre con Fellini). Tra le presenze più memorabili di uno dei film più importanti della propria epoca, l’attrice svedese che aveva iniziato a lavorare ad Hollywood nei film di Gianni e Pinotto (ovvero Abbot e Costello) era in difficoltà da diversi anni e già nel 2011 aveva chiesto un aiuto economico alla fondazione Fellini per lo stato di indigenza in cui versava (non aiutato da un furto di gioielli e l’incendio della sua residenza che l’avevano costretta in una clinica per lungodegenti) e si è spenta oggi.
Ad Hollywood ci era arrivata con la fascia di miss Svezia conquistata nel 1950 Anita Ekberg e grazie all’amicizia di Howard Hughes (il miliardario con il pallino della regia e degli aerei interpretato da Leonardo Di Caprio in The Aviator), tuttavia in quegli anni la vera fama non passava necessariamente per il cinema americano. Hollywood o Morte (uno dei milioni di film della coppia Dean Martin e Jerry Lewis) le aveva fruttato un Golden Globe nel 1956 ma il colpo che le cambia la vita arriva 4 anni dopo con il cinema italiano che all’alba degli anni ‘60, e per più di una stagione, sarà il più importante e ricercato del mondo. Alle porte del decennio che ha cambiato definitivamente la società occidentale c’è lei nella fontana di un film che per primo apriva le contraddizioni tra un passato fatto di repressione e un presente in cui il piacere veniva sempre più eletto a diritto di ognuno.
Con il suo corpo esagerato, l’apparenza esotica per i canoni italiani e il fisico indimenticabile cattura l’interesse di Federico Fellini a cui serve un’icona di bellezza, purezza, piacere e desiderio per un film che proprio intorno al ruolo del desiderio e al piacere nella società ruota. Nel 1960 è Sylvia in La dolce vita, la sua presenza tormenta Marcello, lo attira, lo respinge, lo fa sognare, lo invita in una fontana nella notte ma non lo bacia, lo fa salire in cima al cupolone di S. Pietro dopo mille scalini e per tutte le scene che la riguardano è un tornado di energia inafferrabile. Non ha niente di umano Sylvia e così si impone nell’immaginario collettivo. Di molte donne e vizi che costellano quel film lei è l’unico elemento di purezza, l’unica presenza che davvero sembra poter cambiare qualcosa nella vita dello stanco scrittore indolente se solo l’afferrasse.
La fortuna mondiale di La dolce vita, che in quegli anni diceva al mondo occidentale esattamente quel che aveva bisogno di sentirsi dire e con un’espressività cinematografica mai vista, passa anche per l’inafferrabilità della Sylvia di Anita Ekberg. Attrice mediocre ma con una presenza scenica fuori dal comune, nelle inquadrature di Fellini è presente ma sempre un passo troppo lontana, è desiderabile e desiderata ma mai conquistata nè conquistabile, diventa in brevissimo il simbolo di quel che non si può avere ma lo stesso si vuole. Il motore immobile che muove il mondo. Solo Bob Dylan inserisce riferimenti a lei in due canzoni nel 1963 e 1964 (I Shall Be Free da The Freewheelin Bob Dylan e Motorpsycho Nightmare da Another Side Of Bob Dylan), sempre come simbolo dell’aspirazione e del desiderio. Anita Ekberg è ovunque.
Dopo quel film vive una stagione di fama e gira parecchi film dimenticabili. Poi sempre di meno. Era il corpo giusto al momento giusto, ha avuto il privilegio raro nella vita di un’attore o attrice di poter “dire qualcosa” con la propria presenza, l’aspirazione di chiunque interpreti a “significare” attraverso il proprio corpo. Anita Ekberg ha significato. Trascendendo la materialità è stata al centro di una sequenza a metà tra il sogno e la realtà, tra le più importanti e riconosciute di sempre. La carica erotica che molte altre attrici (o solo donne) possiedono lei ha avuto il privilegio di poterla unire, anche se per solo pochi minuti, alla grazia per giungere all’astrazione di un sentimento comune a tutti. Per farlo è stata guidata da uno dei più grandi registi di sempre ma la sua comprensione della situazione, del ruolo e delle finalità di un film come all’epoca non ne erano stati mai fatti è stata determinante. A differenza di altre attrici, anche più brave o più importanti di lei, Anita Ekberg è davvero diventata indimenticabile.