Ho visto il film su Lady D. Alla fine lei muore.
"Maddai, c'è la storia di Lady D al cinema, Naomi Watts è bravissima". E' come il volo del calabrone, senti ronzare queste parole intorno a te mentre ti avvicini al botteghino del multiplex. "Gravity o Lady D, Gravity o Lady D?", la curiosità nel vedere la "donna più famosa del mondo" in una pellicola è troppo forte, quindi alla fine il pettegolezzo vince sullo spazio a tre dimensioni di George Clooney e Sandra Bullock: tutti a vedere "Diana – la storia segreta di Lady D". Nella sala ci entro da spettatore consapevole del fatto che in Inghilterra lo hanno distrutto senza mezzi termini: "accuratezza storica messa in discussione", "film inutile", "che scopo ha questo film", "meglio non farlo" e tutte quelle cose che ti fanno pensare che è tutto un gigantesco "gomblotto" della Royal Family, che neanche le ultime scioccanti fotografie trovate sul computer del Soldato N. Penso a tutto questo e mi siedo carico delle migliori intenzioni.
Il film si apre mostrandoci la vita pubblica di Lady Diana, tra flash e giornalisti sempre intorno, ad ormai tre anni dalla separazione dal principe Carlo. Sorridente davanti al mondo, triste e cupa tra le sue mura di casa e con le sue poche amiche (giusto due). Tutto cambia quando, dopo circa 10 minuti di proiezione, Diana corre al Royal Brompton per fare visita ad un amico, ricoverato d'urgenza per un intervento al cuore. Qui conosce Hasnat Khan, l'affascinante cardiochirurgo che cambierà la vita della principessa con un semplice sguardo da pesce lesso. E adesso urge una riflessione. Ad interpretare Hasnat Khan è l'ottimo Naveen Andrews che, qualora vi fosse sfuggito, è passato dalla modalità "figo-della-madonna" a quella di "bisogno-di-danacol" nel giro di tre anni e quattro film:
E' proprio lui, il Sayid di Lost! Questa foto del "prima e dopo" non ha fatto altro che starsene stampata nella mia testa tutte le volte che il suo nuovo personaggio si dannava l'anima con Diana: "perché abbiamo vite diverse/perché non può funzionare/io sono un chirurgo", e me lo immaginavo lì a sgozzare teste, a riparare ricetrasmittenti o a far saltare in aria gli Altri sull'Isola: credibilità ai minimi storici. Ma la storiella del resto non ha la minima paura di risultare tale. Così ci mostra Diana che prepara i pranzetti per lui, che indossa una bella parrucca dai capelli lunghi e castani per camuffarsi e andare in giro locali jazz e dopo in stile "andiamo da me o da te", lo nasconde nei sedili dietro, sotto una coperta, per portarlo a "Palazzo" senza destar sospetti. Scavalca persino cancelli sul retro e gli spiccia casa al suo Romeo, pensa te, fino a quando non organizza una visita di cortesia in Pakistan per conoscere la famiglia di lui che, alla fine, si rivelerà essere il vero "deus ex machina": il rifiuto della "Madre" di lui a concedere la benedizione per un eventuale matrimonio sarà la causa scatenante che farà piombare Lady D tra le braccia di Dodi Al Fayed.
Il resto è storia, o meglio gossip. Diana accetterà l'invito di Dodi Al Fayed a trascorrere con lui le vacanze estive sul suo yacht e, seguendo fedelmente quanto viene rivelato nella biografia da cui il film è tratto, mette a frutto le sue "conoscenze" con gli editori della stampa scandalistica per organizzare degli scoop a tavolino, atti esclusivamente a far ingelosire Hasnat Khan. Il primo tentativo va a vuoto, lei distrutta dalla solitudine e dal dolore lascia un messaggio in segreteria: "Hasnat, ti prego richiama". Hasnat non richiama, o meglio aspetta la seconda ondata di finti scoop organizzati sempre da Diana, questa volta alla massima potenza. Quando Hasnat si decide ad alzare il telefono è ormai, ma-tu-guarda-un-po', troppo tardi perché Diana ha già preso l'ascensore dell'Hotel Ritz, per poi entrare nella Mercedes S280, quella che pochi minuti più tardi si schianterà contro il tredicesimo pilastro di Pont de L'Alma.
Il peso ingombrante del ricordo di Lady D. è immenso e cede su ogni tentativo di narrazione, lasciandola claudicante e cadenzata come se fosse una commedia british qualunque. Il film cerca, di tanto in tanto, di alleggerire con la "principessa-che-vuole-fare-la-comune-mortale", mostrando però tutto ad un livello troppo superficiale per essere colto appieno. Ne consegue che di questo film, reso in questo modo, appesantito da dialoghi banali e ripetitivi (la principessa e il chirurgo litigano e fanno pace per tre volte, seguendo sempre lo stesso ritmo) se ne poteva fare tranquillamente a meno.
Però in fondo me lo merito. Non avrei mai dovuto paragonare "Gravity" a "Lady D".