È successo. Il boxoffice totale delle sale cinematografiche cinesi a Febbraio è stato di poco superiore all’equivalente statunitense: 655 milioni di dollari contro 640 milioni di dollari. Per la prima volta nella storia avviene il sorpasso che tutti sapevano presto o tardi sarebbe arrivato. È infatti dal 2008 che le sale cinematografiche cinesi crescono a ritmi impensabili per l’occidente, nuovi multisala vengono aperti su base quotidiana, province che non avevano cinema di colpo sono dotati di strutture con moltissimi schermi. Nel 2012 venivano inaugurati circa 9 nuovi schermi ogni giorno e sono diventati 13 al giorno dal 2013 in poi.
Nonostante questo il numero totale delle sale (per ora) è inferiore a quelle degli Stati Uniti, poco più della metà, circa 23.000 contro 40.000. Lo stesso nel mese di Febbraio i cinema cinesi hanno guadagnato molto più di quelli statunitensi, grazie ad una combinazione di diversi fattori. Le feste del capodanno unite all’uscita di film particolarmente importanti, un allineamento di pianeti che ha portato gli incassi oltre ogni aspettativa, è dunque molto probabile che già dal prossimo mese torneranno sotto agli Stati Uniti ma lo stesso quell’idea che fino a ieri era proiettata nel futuro (“Prima o poi il boxoffice cinese conterà più di quello americano”), oggi è molto più vicina e concreta.
From Vegas to Macau II è stato il campione del mese (un film con Chow Yun-Fat) e assieme a lui è uscito un altro film potentissimo, Dragon Blade, opera in costume in cui la più grande star del paese (Jackie Chan) si incontra con gli antichi romani interpretati da Adrien Brody e John Cusak. A sorpresa spunta poi, terza clasifficata, una co-produzione franco-cinese, Wolf totem, il nuovo film di Jean Jacques Annaud con protagonisti animali (un lupo) e ambientato ovviamente in Cina. La quota d’incasso hollywoodiana del mese è stata monopolizzata da Lo Hobbit e Hunger Games, ma erano usciti prima del periodo festivo, quello buono, perché la Cina non spartisce la torta più grossa con gli stranieri.
Lo stesso, com’è logico, Hollywood pianifica sempre di più i propri film e le proprie uscite pensando al mercato cinese. Già abbiamo raccontato di come a Luglio Transformers: Age of Extinction abbia conquistato il paese rientrando di tutte le spese solo con quell’uscita (per la cronaca, l’incasso americano del film non ha superato i 300 milioni raggranellati in Cina), e quindi quanto Hollywood stia pianificando i suoi blockbuster per quel mercato, inserendo location cinesi e attori cinesi.
Fino a pochi anni fa il governo di Pechino imponeva un limite ai film stranieri che potevano essere importati per favorire le produzioni nazionali (che non hanno niente da invidiare a quelle americane quanto a spettacolarità, intrattenimento e varietà) che infatti pesano per il 75% del totale. Adesso le maglie si stanno allargando e il numero di film autorizzati a passare è sempre più grosso (al momento parliamo di 34 ogni anno e il numero sarà rivisto nel 2017). I film che rientrano nelle 3 decine di fortunati sono quasi sempre grosse produzioni americane (nel 2014 le eccezioni sono state due: il francese Tutta colpa del vulcano e il sudcoreano The Admiral) che ovviamente per essere scelti si premurano di inserire elementi cinesi. Pacific Rim di Guillermo Del Toro è ambientato in Cina, Blackhat di Michael Mann è ambientato in Cina e ha protagonisti cinesi, Transformers: Age of Exctintion era ambientato in Cina, e già la saga di i Pirati dei Caraibi aveva inserito la più grande star cinese Chow Yun Fat per aprirsi a quel mercato.
Dopo la Cina toccherà alla Russia, poi forse all’India (lì però l’industria locale è talmente potente che i film stranieri contano poco), ma non sarà un problema, perché benché noi tendiamo a percepirlo come “cinema americano” Hollywood si è sempre considerata il “cinema del mondo”. Fin dagli anni ‘20 ha attirato attori, registi e autori da tutti i paesi a lavorare da loro, i talenti più cosmopoliti, le personalità con il maggior potenziale commerciale. L’unica differenza saranno le storie, perché fino a che il mercato domestico sarà quello fondamentale i registi e gli attori stranieri racconteranno storie americane. Nel momento in cui l’industria si troverà di fronte una platea che parla (letteralmente) un’altra lingua, sarà diverso.