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“L’Amore Bugiardo” dimostra che, se vogliamo, sappiamo essere degli stupidi

L’ultima brillante fatica di Fincher testimonia con disarmante efficacia quanto il mondo dei media possa influenzare e manipolare le masse. Ammesso che non ne fossimo ancora a conoscenza.
A cura di Andrea Parrella
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Avete presenti quelle improbabili traduzioni dei titoli di film dall'inglese all'italiano? Esistono delle eccezioni all'imbarazzante Eternal sunshine of the spotless mind diventato quel tremendo Se mi lasci ti cancelloL'amore bugiardo, nelle sale in queste settimane, è prima di tutto una rarità in quanto conserva nel titolo italiano, apparentemente semplicistico e banale, un significato che risulta molto più denso di quello che è capace di evocare il titolo originale "Gone Girl". Chi ha già avuto modo di vederlo sa di cosa si parli, chi non l'ha fatto comprenderà il senso della questione nei minuti finali dell'ultima fatica di David Fincher.

Che il regista di Fight Club sia dannatamente bravo non è un parere per forza condivisibile e nemmeno si può motivare con una sentenza semplice o una definizione. Potrebbe essere sufficiente sottolineare la sua capacità di vedere uno spazio narrativo dove pare ci sia ben poco da raccontare: vale per la storia della nascita di Facebook, così come quella di una coppia convintasi della menzogna di essere perfetta (L'amore bugiardo parla anche e soprattutto di questo).

Il film con protagonista Ben Affleck induce due riflessioni che camminano su strade parallele, quindi senza mai incontrarsi. La prima è di stampo sentimentale, per un film che a detta del suo regista causerà 15 milioni di divorzi. Racconta una paradossale e torbida vicenda che porta a chiedersi: possono marito e moglie arrivare ad odiarsi per essersi fatti attrarre da un'idea dell'altro completamente astratta, inesistente ed estremizzata, una non verità destinata a venire prima o poi a galla? Domanda retorica, lascia il tempo che trova e forse, le coppie interessate dal quesito negherebbero ad oltranza una verità così scomoda.

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Ma perché non si tratta "solo" di un un thriller paranoico e geniale? Perché parla di noi stessi anche in altro modo: una volta visto il film viene difficile credere che uno spettatore non cambi partito, durante la visione, almeno tre volte. In pratica è impossibile non ci si schieri dalla parte della moglie prima, del marito a seguire, per poi voltarsi ancora dall'altra parte e chissà quante altre volte cambiare idea, annullando quasi del tutto la propria capacità di giudizio, vedendo cedere clamorosamente ogni facoltà di discernimento. L'opera di Fincher è in grado di ricreare quel perverso corto circuito in cui è destinato a crollare il sistema dei media quando ha a che fare con argomenti di cronaca nera o presunti tali.

Le analogie con i casi di Veronica Panarello, Elena Ceste e simili, le polemiche su Barbara D'Urso e il trattamento di fatti di cronaca nella tv dell'intrattenimento, sono troppo freschi e recenti qui in Italia per non essere citati e far notare come le rappresentazioni delle campagne stampa in favore del protagonista o di sua moglie, a fasi alterne, siano in grado di farci formulare arringhe involontarie contro l'uno o l'altra, del tutto basate su un mero trasporto emozionale. Se avete visto L'amore bugiardo (o se lo vedrete), vi sarete trovati davanti al dato di fatto che noi mestieranti telespettatori, di questi tempi più che mai, abbiamo una involontaria e spiccata propensione a credere che una cosa osservata non rischi di condizionarci. Presumiamo di essere dotati di autonomia di pensiero e formuliamo congetture e giudizi condizionati, proprio mentre ci convinciamo che ciò non stia accadendo. Ci succede di pomeriggio, davanti alla tv, così come succede guardando questo film, uno dei più interessanti tra quelli usciti negli ultimi mesi. Un film che ci avverte di come, se vogliamo, sappiamo essere davvero degli stupidi.

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