21 Maggio 2010
15:18

La nostra vita, Elio Germano e il sottoproletariato di Luchetti

Il nuovo film di Daniele Luchetti, in concorso a Cannes, racconta con intensità il mondo del lavoro e delle classi povere del nostro paese.
A cura di Emanuele Rauco
Germano e Bova nella scena madre della Nostra vita

Una delle accuse più pesanti e insistenti che spesso vengono rivolte al cinema italiano è quella di non volere o sapere raccontare la realtà, forse perché ci fa paura o fa paura ai referenti del cinema nostrano. Daniele Luchetti col suo nuovo film, La nostra vita, prova a sottrarsi a questa sorta di tecnica dello struzzo e a dire qualcosa di forte sul nostro paese. Lo fa raccontando la storia di Claudio, operaio a cui muore la moglie lasciandogli tre figli, e che deve cercare un modo per risollevarsi non solo economicamente: ma non sempre questi metodi saranno leciti.

Luchetti scrive questo dramma dai tratti sorridenti – come quasi sempre nel nostro cinema – assieme a Stefano Rulli e Sandro Petraglia, cercando come non si faceva dai tempi di Una vita difficile di Risi di raccontare la difficile vita delle classi medio-basse del nostro paese all’interno di un cinema per il grande pubblico. Infatti oltre all’abisso del lavoro in nero e dell’illegalità legata a doppio filo al mondo dell’edilizia, il film sonda anche una sottocultura proletaria, un modo d’essere e pensare che spesso il cinema più borghese dimentica.

Luchetti, che ha raccolto applausi e risate alla proiezione a Cannes, lo fa con uno stile inusuale per il suo cinema: macchina a mano, stacchi bruschi di montaggio, girato dal vero in luoghi e set mai costruiti o preparati: ne esce l’immagine di un cinema medio che vuole e sa descrivere, raccontare il nostro mondo, grazie a una sceneggiatura accorta tanto ai personaggi quanto al loro contesto suburbano e sociale, che stona un po’ solo nel conciliante finale, e a una regia che non ha paura di primissimi piani mobili, anche perché ha a disposizione attori di gran talento come Elio Germano, Isabella Ragonese e Raoul Bova (nelle sale anche con La bella società di Cugno) che sa dirigere con piglio davvero notevole. E che raccontano con spontaneità il vero prezzo dei sogni.

Emanuele Rauco

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