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Pietro Germi, un regista tutto d’un pezzo

Un ritratto di Pietro Germi, uno dei più grandi registi italiani, a lungo visto con sospetto ma poi ricoperto di riconoscimenti e premi.
A cura di Emanuele Rauco
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Pietro Germi, un regista tutto d'un pezzo

E’ stato uno dei registi italiani più premiati e onorati all’estero, ha lavorato coi maggiori attori nostrani eppure ci ha messo un po’ Pietro Germi per farsi riconoscere anche dal proprio pubblico. Un percorso difficile ma straordinario quello del regista di Genova, che ha cominciato al Centro Sperimentale e poi come attore per esordire in pieno neorealismo con un insolito giallo psicologico, Il testimone. Già questo rifiuto personale delle tendenze e delle mode basterebbe per dirne la statura artistica e morale, che coincide con un percorso meritevole attraverso i generi.

Il poliziesco di Gioventù perduta e In nome della legge (uno dei primi film sulla mafia), il noir della Città si difende e il western autoctono del Brigante di Tacca del Lupo, fino al più bel poliziesco italiano di sempre, come lo ha definito Variety, Un maledetto imbroglio, personalissima riduzione del Pasticciaccio di Gadda. Un’opera che lo consacra finalmente anche al pubblico italiano nonostante l’Orso d’oro per Il cammino della speranza, e numerosi Nastri d’argento per la miglior regia.

Ma il botto, Germi lo fa nel ’62, quando svolta verso la commedia satirica e grottesca con una trilogia che fece tremare i polsi ai benpensanti dell’epoca: Divorzio all’italiana, che metterà alla berlina l’oscenità giuridica del delitto d’onore, con Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli (che a breve esordirà come regista in Christine Cristina), vinse il premio Oscar per la sceneggiatura e fu nominato per la regia e l’interpretazione maschile; Sedotta e abbandonata, che tornerà su temi simili come l’arretratezza sessuale e culturale del Meridione, vince 2 David di Donatello (che quest'anno potrebbero premiare Virzì, un suo erede) e la Palma d’oro per il protagonista Saro Urzì; infine Signore & signori, che sposta la satira della borghesia a Treviso senza perdere in ferocia e vincendo il Gran premio della giuria a Cannes, oltre a David e Nastri d’argento. Dopo la sua carriera è andata in declino e si ricorda solo il divertente exploit con Dustin Hoffmann (in attesa di vederlo come genio della truffa in Luck) in Alfredo Alfredo; ma tanto basta per annoverarlo tra i grandissimi del nostro cinema. E l’idea che De Sica e Neri Parenti hanno in mente un Amici miei ‘400, svalutando l’ultimo grande soggetto di Germi, ci fa venire i brividi.

Emanuele Rauco

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