Revanche, tra vendetta e disperazione
Un tema come la vendetta è tra i più sfruttati degli ultimi anni, vuoi per il difficile clima socio-politico, vuoi per le maggiori possibilità di messinscena della violenza: ne approfitta il regista austriaco Götz Spielman che al suo quinto film decide di virare verso il noir e verso gli strati più crudi della società con buoni risultati.
Al centro del film c’è Alex, uomo del sottobosco criminale che vuole fuggire con la ragazza spogliarellista dopo una rapina in banca, che però finisce tragicamente: il tarlo della vendetta s’impossesserà di lui. Un dramma nero, violento e carnale, ma anche psicologico a suo modo, scritto dallo stesso regista e che ha guadagnato l’anno scorso la nomination agli Oscar come miglior film straniero, oltre ad aver vinto molti premi internazionali tra cui il premio Panorama al Festival di Berlino.
Premi tutto sommato meritati, perché il film di Spielman è intelligente nel giocare sul contrasto tra il protagonista, che trattiene la sua rabbia fino a implodere, e il suo antagonista, un uomo semplice quasi umile, che esprime i propri drammi quasi con ingenuità; inoltre il regista sa come costruire una storia all’apparenza semplice che si complica pian piano e che Spielman segue con un montaggio azzeccato e una notevole fluidità registica. Forse c’è un po’ di semplicismo in qualche caratterizzazione e il tocco “all’europea” frena un po’ l’empatia, ma l’uso dei simboli e delle inquadrature mostra all’azione un autore che sa il fatto suo; e che un distributore italiano (la Fandango di Procacci) se ne sia accorto è già un successo, di questi tempi.
Emanuele Rauco