Attesissimo, prenotatissimo e anticipatissimo. Cinquanta sfumature di grigio arriva nei cinema italiani già condannato ad incassare cifre vertiginose. L’abbiamo visto alla Berlinale, dove è passato in anteprima europea e, per chi non ha letto i libri, c’è di che rimanere sorpresi. Del sesso promesso c’è molto poco, per non dire dell’audacia sadomaso, mentre c’è molto romanticismo e a sorpresa spesso azzeccato grazie alla sorprendente Dakota Johnson. Il film che doveva scandalizzare tutti dunque se proprio corre un rischio è quello di commuovere, a patto di non farsi troppe domande ed essere particolarmente sensibili.
La storia non si vergogna infatti di pescare nel repertorio Harmony. Una studentessa di letteratura inglese, sensibile, un po’ introversa, vergine e dai grandi sogni, sostituendosi ad un’amica in un’intervista incontra un uomo ricco, potente e pieno di promesse misteriose che si interessa a lei. Dopo averla corteggiata a colpi di regali opulenti e clamorose apparizioni a sorpresa, le promette di iniziarla ad un mondo di piacere estremo ma non prima di averla fatta innamorare. A lei, che con lui scopre una diversa dimensione di se stessa, sta il compito di salvare la sua anima apparentemente tormentata.
Non è insomma nella trama che il film cerca la sua originalità (nè si cura delle conquiste femministe degli ultimi 30 anni) ma semmai nella maniera in cui maschera questi presupposti retroguardisti dietro la promessa continuamente rimandata di sesso estremo. Frustini, palette e un grande armamentario di attrezzi sono più volte mostrati ma tutto ciò che vediamo accadere sono 6 frustatine sul sedere di numero e qualche amplesso ripreso con grande attenzione a non inquadrare nulla che non sia già digerito da qualsiasi altro film commerciale (se avete visto La vita di Adele questo vi fa ridere). Tutto è continuamente rimandato, c’è un accordo scritto che mr. Grey vuole che Anastasia firmi, uno con il quale lei si dichiara daccordo a fare sesso sadomaso e nel quale è precisato per bene fino a dove ci si possa spingere, la firma segnerebbe l’inizio delle ostilità ma questa non arriva, viene rimandata al prossimo film.
Senza indugi o sotterfugi infatti Cinquanta sfumature di grigio si chiude in media res, con un finale da puntata di serie tv. Tutto è rimandato al prossimo inevitabile film (fa ridere, a posteriori, che i produttori abbiano solo recentemente confermato il fatto che ci saranno altri film della serie, come se l’avessero potuto evitare…), incluso il sesso. Non c’è da stupirsi quindi se, con il poco che si vuole mostrare, l’idea di sesso del film sia una donna sfiorata appena che regolarmente mostra un godimento sovradimensionato rispetto a quello che accade. Se però un interesse in Cinquanta sfumature ci può essere anche per chi non è un fan dei libri, sta tutto nella parte romantica, estremamente canonica, ma a tratti condotta con una piacevole abilità.
Gran parte del merito va alla vera protagonista: Dakota Johnson, figlia di Melanie Griffith, e vera anima del film. Purtroppo l’altra metà della coppia, Jamie Dornan, non fa molto per creare una chimica credibile, cioè per convincere il pubblico che tra questi due personaggi esista un’attrazione così forte da giustificare i molti tira e molla e i dubbi della storia, lasciandosi schiacciare dalle parti risibili del personaggio (per dimostrarsi sensibile suona partiture lente al pianoforte di notte). Ci deve pensare quindi Dakota, con un repertorio sorprendente di movimenti, incertezze e arrossimenti che superano la banalità dei dialoghi che recita fino a lavorare ad un livello superiore, nel campo dei non detti e dei suggeriti. Questo nuovo franchise ha già scoperto un nuovo talento.