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Opinioni

Contro i maestri e dalla parte dello stile, io sto con Muccino quando critica Pasolini

Attaccato duramente per aver detto delle verità con un tono troppo esagerato e assoluto, il regista romano fa bene a criticare Pier Paolo Pasolini, gli leva lo statuto di intoccabile e svela la stupidità di chi l’ha assalito. Gli insulti provengono da chi desidera usare Pasolini per definire se stesso.
A cura di Gabriele Niola
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Nella polemica che Gabriele Muccino ha imbastito su Facebook riguardo il cinema di Pasolini, va detto subito che è un dovere morale stare dalla parte di Muccino e non da quella di chi lo ha attaccato, anche se non tutto quello che ha scritto è condivisibile, soprattutto per il modo in cui lo ha espresso. È infatti impossibile schierarsi dall’altra parte della barricata, quella in cui siedono i lodatori di Pasolini a tutti i costi, gli obnubilati dalla venerazione piccolo borghese di un grande nome dell’arte, così acciecati da non riuscire a concepire l’idea di critica o, ancora peggio, così privi di ragionevolezza da giudicare un’opinione a partire dalla sua fonte, cioè un regista che (alcuni) non amano. Sono proprio loro le persone che hanno fatto e continuano a fare di Pasolini un santino intoccabile, guardiani autoeletti di un passato dorato solo nella loro testa.

Come in molti già sanno in occasione dei 40 anni dalla morte di Pierpaolo Pasolini il regista Gabriele Muccino, sulla sua bacheca Facebook, ha criticato lo stile visivo del Pasolini-regista. L’intenzione era di rivedere certi assunti che troppi danno per scontati e che evidentemente bruciano non poco a lui che del cinema ha un’altra idea più vicina a Fellini o Rossellini, che a Pasolini. Non solo Muccino ha fatto molta attenzione a circoscrivere la sua critica, non al Pasolini-scrittore o poeta ma solo al Pasolini-regista, ha anche badato a criticare non i suoi film in toto ma solo lo stile e l’approccio visivo, dettaglio che al cinema non è tale. E non ha sbagliato. L’approccio estetico di Pasolini è tutto fuorchè intoccabile. Dove semmai Muccino ha sbagliato è stato nell’uso di toni naive e un po’ adolescenziali, nell’esasperare un punto di partenza interessante così tanto che alla fine della sua tirata è difficile poter dire di essere realmente d’accordo. Ciò che è successo dopo la pubblicazione di quello status, però, è risultato essere ben peggiore.

Meno condivisibile del punto di vista di Muccino è infatti quello di chi non tollera che siano toccati i maestri, dei conservatori che vogliono il patrimonio culturale sotto una teca di cristallo, di coloro che usano Pasolini per definire se stessi e posizionarsi più in alto degli altri, di chi ama andare sul sicuro e loda chi è facile lodare, senza provare a fare un discorso critico, di chi si sente tranquillo nel galleggiare sulla superficie del comune sentire e non fa nessuno sforzo intellettuale. L’idea stessa di scalfire la mitologia di Pasolini regista sarebbe da sponsorizzare ed è di certo apprezzabile se viene da qualcuno che il cinema lo conosce come Muccino. Perché l’altra parte risibile della valanga di insulti piovuti sul regista che ora lavora in America ha riguardato i suoi film. Come se una persona potesse criticare un’altra solo se in vita ha fatto di meglio e soprattutto come se la qualità migliore di Gabriele Muccino non fosse proprio lo stile visivo.

Quello che in molti (e non certo da ieri) non capiscono della maniera in cui Gabriele Muccino realizza film, è il medesimo dettaglio che non colgono in questa discussione, ovvero che al cinema lo stile visivo e la capacità di generare immagini che parlino più delle parole è fondamentale, a volte più della storia o delle parole. In questo senso la conoscenza tecnica del mezzo è preferibile, ma anche degli ignoranti di regia hanno saputo girare film con uno stile visivo unico che ne ha determinato l’impatto. Questo non è sempre stato il caso di Pasolini, che nelle sue prime opere guardava molto a Bolognini e al Bertolucci dell’epoca come riferimenti estetici, nonostante la collaborazione con Tonino Delli Colli non ne era all’altezza (se non per Mamma Roma, caso quasi unico nella sua filmografia, di vera poesia della composizione). In seguito inoltre si è distaccato sempre di più da quell’idea di messa in scena per arrivare ad un’altra, quella dei suoi film a colori, che non  ha mai trovato un immaginario o una dimensione visiva all’altezza dei contenuti che voleva narrare. Tutto ciò non vuole sminuire l’importanza delle opere in questione, ma semmai inquadrarle con più razionalità e meno emotività.

Esagera quindi Gabriele Muccino ad imputare a Pasolini l’effettiva degenerazione dell’impatto visivo del nostro cinema e sbaglia completamente a tirare in quest’insieme anche Nanni Moretti, che invece è il tipico esempio di regista con uno stile visivo complesso, dotato di incredibile inventiva e capacità comunicativa. Dove non esagera però è a voler andare contro la più pericolosa delle derive, la stessa che gli si è riversata contro: il conformismo intellettuale. Criticare Pasolini (ma anche Fellini, Rossellini, De Sica…) è un imperativo, è doveroso, com'è doveroso che lo possa fare chiunque, purché lo faccia con calma, avendo qualche idea a disposizione e badando bene a non sparare cretinate. Non può farlo solo chi vanta titoli pari a questi cineasti, cioè nessuno, che a discutere e mettere in questione si fa solo del bene.

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