É a Venezia fuori concorso ma meriterebbe un premio la fantastica carrellata di Italy in a day, progetto figlio del più grande Life in a day del 2011, prodotto e fortemente voluto da Ridley Scott (dopo gli omologhi Britain in a day e Japan in a day) ma poi diretto e “organizzato” da Rai Cinema e Indiana production con le idee e la mano di Gabriele Salvatores.
L’idea era chiedere a chiunque ne avesse voglia di riprendere con qualsiasi mezzo ne avesse la possibilità spezzoni della propria giornata, quel che gli accade, quel che pensa o quel che vede nel 26 Ottobre (tutti lo stesso giorno per creare una suggestiva unità di tempo) e poi inviarle sul sito del film per contribuire a formare un grandissimo mosaico, documentario diffuso e in crowdsourcing di cosa sia il nostro paese in questo momento.
“É stata una delle poche volte nella storia recente della RAI che davvero tutta l’azienda, non solo Rai Cinema, si è coordinata nello sforzo di diffondere e contribuire alla raccolta di materiale per questo film” ha affermato Paolo del Brocco, ad di Rai Cinema, e il risultato sono stati 44.000 video inviati per un totale di 2.200 ore di girato che Salvatores e il suo team hanno visionato, valutato, scartato, incluso, montato, separato e assemblato per raccontare una medesima giornata vista da quanti più punti di vista diversi è possibile. Nel film che passerà in sala un solo giorno (il 23 Settembre) e poi andrà in onda in prima serata su Rai Tre il 27 Settembre si vedono nascite, colazioni, lezioni scolastiche, sport, coppie, anziani, annunci di matrimonio, baci tra le coperte, gesti semplici, Luca Parmitano nello spazio e anche un’eruzione (perchè in quella data l’Etna ha eruttato e molti lo hanno incluso nel loro video). Ci si commuove spesso durante Italy in a day davanti alla manifestazione di un’umanità semplice e coinvolgente, il grado più basso dell’empatia per lo svolgersi naturale della vita, un sentimento che Salvatores definisce: “Un senso di tenerezza per i propri simili”.
Secondo il regista i contributi sono venuti (e quindi rispecchiano) tutti i tipi di persone, o quasi: “Quello che non mi torna è come mai manchino i più ricchi. Non ho ricevuto quasi nulla da professionisti, professori universitari o chessò, pubblicitari, avvocati… É come se raggiungendo una certa sicurezza ognuno lotti per sè. Se sono tranquillo non ho bisogno di condividere. E forse è un po’ un problema”.
I contenuti dei video ricevuti invece ti hanno stupito o era quel che ti aspettavi?
"Mi hanno sorpreso molto positivamente. Sono contento di quel che mi è arrivato perchè mi aspettavo molto più trash da social network che invece praticamente non c’era”.
La selezione del materiale è di suo una scelta autoriale cosa ha voluto tenere fuori?
“Ho cercato di rispettare quel che ricevevo specie nelle proporzioni. C’era molta crisi nei video che mi sono arrivati anche alcuni che piangevano (una in particolare si rivolgeva a me personalmente in lacrime per un minuto intero) ma dove ho potuto ho cercato di lasciare più spazio ad immagini di felicità, per mostrare un’Italia che non si piange addosso, un paese sofferente (perchè non mancano gli aspetti più duri) ma con dignità”
Manca anche la politica
“Si ma ci sono molti giovani che esprimono paura per il futuro. Alcuni all’estero che non sono contenti di essere dovuti partire per lavorare”
In questo profluvio di materiale lei ci ha visto anche una voglia di esserci o di apparire?
“No secondo me no, non c’è il desiderio di mostrarsi ma di raccontare, mi sembra più una seduta di psicanalisi collettiva che un selfie di gruppo”.
Questo progetto è uno sforzo vostro ma senza internet sarebbe stato impensabile, è anche un manifesto di cosa oggi stia cambiando nella nostra vita tramite le tecnologie?
“Guarda quando nel 1996 facevo Nirvana parlavo di rete, virus e web (quando in molti non sapevano cosa fossero) e avevo molta fiducia in questo mezzo, fiducia nel fatto che potesse essere la piattaforma di democrazia vera che si proponeva di essere: una terra aperta. Purtroppo oggi non posso non notare che non è diventata questo ma un supermercato. Quando Facebook compra WhatsApp sappiamo che è perchè su Facebook c’è tutto tranne il numero di telefono degli utenti e così può completare la sua raccolta di informazioni su di noi. Per fortuna però c’è anche spazio per usarla diversamente come per questo film”