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Intervista a Favino: “Il mio film possibile anche grazie all’effetto Gomorra”

L’attore è anche coproduttore del suo ultimo film “Senza nessuna pietà”, in concorso nella sezione Orizzonti al festival di Venezia e diretto da Michele Alhaique, storia di crimine (anche se a lui non piace la definizione) che forse qualche anno fa non sarebbe stata finanziata.
A cura di Gabriele Niola
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A vederlo sembra Bud Spencer, con il barbone nero e tutto il peso che ha preso (è arrivato a 100Kg), mentre a sentirne la storia sembra Carlito Brigante interpretato da Al Pacino in Carlito’s Way, invece Pierfrancesco Favino è Mimmo ovvero “Santili Domenico” come si presenta lui, nipote di un piccolo boss della mafia romana, sgherro di poco conto e forse un po’ scemo, che dall’incontro con una escort-ragazzina (Greta Scarano) perde la testa, fa cose che non dovrebbe fare ed è costretto a cercare di fuggire da tutti assieme a lei prima che li ammazzino.

La mostra del cinema di Venezia ha messo Senza nessuna pietà nella sezione Orizzonti (quella del cinema di frontiera) ma a noi sembra un noir molto regolare e preciso, cattivo e spietato come si conviene, una storia di romanticheria soppressa in un mondo in cui è molto facile morire ma difficile amare, insomma un tipo di film che per fortuna si fa sempre di più in Italia. Pierfrancesco Favino in quest’avventura ci ha messo del personale, nel senso dei soldi proprio (è coproduttore per la prima volta in vita sua), e quando l’abbiamo incontrato come prima cosa gli abbiamo chiesto se sia difficile farsi approvare questo tipo di storie.
Non lo so, di certo penso che il recente aumento in quantità e qualità di cinema e televisione di crimine italiani ha aiutato nell’ottenere l’ingresso di alcuni finanziatori come la Rai, senza la quale il film non si sarebbe fatto. É una specie di “effetto Gomorra” grazie al quale i produttori hanno capito che queste storie non sono lontane dal gusto del pubblico.

Già il tuo look diverso dal solito è spiazzante. Come avete creato l’apparenza di questo Bud Spencer triste?
[ride forte] Ci siamo arrivati per gradi e l’intento era non renderlo ridicolo. Ha una camicia a scacconi a cui tiene molto perchè lui è un tipo preciso ma una scarpa comoda, perchè 100 kg so’ sempre 100 kg e sono duri da portare in giro alla lunga. Ha un pantalone da lavoro, una divisa da lavoro con tutte le sue tasche comode e poi, la cosa che più mi colpisce, una maglietta che gli va stretta, un abito che non gli appartiene e arriva proprio quando sente che sta cambiando qualcosa. Improvvisamente Mimmo è vestito da qualcosa che non è suo, che non riconosce e che non gli sta bene addosso. Quando lo si vede così, con questa magliettina stretta, lui che invece è tutto grosso, in effetti può far ridere ma accettare quest’imperfezione vuol dire accettare un’imperfezione dell’anima.

La storia è un classico: il gigante buono che perde la testa per una prostituta, unita a quella del criminale che decide di cambiare vita contro il parere del clan…
In un certo senso si ma io per interpretare Mimmo non la vedevo così. Non pensavo ad uno che impazzisce per una ragazza quanto ad uno che non la vede come gli altri ma come un problema. Per me è uno che non cercava noie e che fa quel che fa in maniera inaspettata per se stesso, cioè nel suo agire non c’è nulla di premeditato e questo mi sorprende enormemente [nel dirlo gli compare un sorriso di soddisfazione come a dire “finalmente” ndr]. Inoltre non penso nemmeno sia un gigante buono perchè è uno che non si fa nessun problema a spaccare le mani alle persone se serve per raggiungere il suo obiettivo.

Si ma rispetto agli altri del suo clan si presenta come uno molto più buono!
Secondo me si è ritagliato uno spazio di silenzio e connivenza leale a certe cose, una specie di rispetto lavorativo in virtù del quale lo lasciano stare ma nulla di più. Se c’è un peso che sente è il fatto di comprende che le cose stanno cambiando, non è più lo zio che fa le leggi del clan ma il cugino, il quale non ha le stesse regole etiche che il clan criminale di cui fa parte aveva sempre avuto.

Dunque non pensavi a lui Mimmo come ad un gangster?
No perchè quella è una definizione cinematografica e non di vita. Nel film invece parliamo di individui, nessuno mi dice che la persona che fa i lavori di casa mia contemporaneamente non faccia parte di un ambiente di questo tipo o quante volte senza saperlo sono stato connivente con ambienti di microcriminalità anche solo accettando di pagare in nero, anche quello significa deviare dalla legalità.

Perchè stavolta hai voluto essere coproduttore, che ci hai visto in questa storia?
Innanzitutto c’è una maniera di raccontare diversa dal solito. Finalmente non c’era un momento in cui il mio personaggio si ferma e racconta quel che ha visto perchè non c’è tempo nella storia, tutto avviene di corsa. Questo dà modo alla vicenda di snocciolarsi da sola e allo spettatore di entrare a far parte integrante di quel che sta vedendo, credo che è anche quel che mi piacerebbe poter vedere quando vado al cinema.

Con Michele Alhaique (che nasce attore e per la prima volta si misura con la regia) come ti sei trovato?
Abbiamo costruito una modalità di lavoro che è quella che mi piacerebbe riuscire ad instaurare sempre: un ambiente di persone creative che riescono a mettere in piedi la possibilità di essere sorpreso da quel che fai quando lavori. La vera libertà espressiva.

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