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Oscar 2020

Oscar 2020, siamo tutti pagliacci e parassiti

Protagonisti indiscussi di questi Oscar 2020: Bong Joon-ho con Parasite e Joaquin Phoenix con Joker. Per chi crede che siano stati gli Oscar della follia, sbaglia. È il trionfo della realtà, pagliacci e parassiti, ognuno nel proprio guscio con un occhio costantemente puntato sullo schermo. Pronti a esplodere, più o meno consapevoli del proprio disagio e anestetizzati a quello altrui.
A cura di Eleonora D'Amore
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Sono stati gli Oscar del fair play, della condivisione e della lotta contro l'emarginazione, in tutte le sue declinazioni. Minorati e minoranze, un calderone unico. La diversità che intimidisce meno dell'omologazione e ci ha trasformato gli occhi a mandorla per una sera senza l'immotivato timore del contagio. Protagonista assoluto di questi Oscar 2020 è stato il sudcoerano Bong Joon-ho con Parasite, seguito da Joaquin Phoenix con il suo Joker. Per chi crede che siano stati gli Oscar della follia, sbaglia. È il trionfo della realtà, pagliacci e parassiti, ognuno nel proprio guscio con un occhio costantemente puntato sullo schermo. Pronti a esplodere, più o meno consapevoli del proprio disagio e anestetizzati a quello altrui.

Una risata ci seppellirà, ma basterebbe la pelle ruvida di una pesca. Allergici all'indifferenza che ferisce e sempre più insicuri, insofferenti, incastrati nelle proprie nevrosi, abbandonati a una danza disperata e in movimento su scale che fanno un po' paura. Sprovvisti di un piano ma capaci di riconoscerlo, sapendo stare sotto in silenzio e provando livore e gratitudine per chi sta su, che stare in alto è un privilegio faticoso.

Questione di spazi e possibilità. Una città intera in cui sentirsi persi, una casa confortevole in cui mettersi scomodi o uno scantinato buio in cui sentirsi al sicuro. Tutto in ordine, in equilibrio nel caos, spettatori del desiderio di scappare di chi è stato ovattato troppo tempo e quella di restare di chi non ha mai saputo dove andare. Viviamo il tempo del contrasto, della continua tensione verso ciò che non ci appartiene, per il gusto di sabotarlo dall'interno.

Una risata ci seppellirà, ma basterebbe una tenda in giardino. Una visuale diversa basterebbe ad atterrare le aspettative sul futuro e a spingere verso la rassegnazione. La consapevolezza di una società classista e poco sublimata, che rigetta la puzza del ‘diverso' e si assolve nel mettere distanza. Almeno finché ci sarà abbastanza connessione per spiarsi dalla cima di un water.

Una risata ci ha già seppellito ed è quella di Arthur Fleck, che esplode dentro ogni volta che un disagio ci attraversa, che prende spazio e parassita. Ogni volta che non ci alziamo dal divano per scendere in piazza e che aderiamo a un collettivo solo se costa un click, che mettiamo ‘partecipa' a eventi a cui non andremo mai ed elargiamo giudizi pur non volendone ricevere, aggrappati a una permalosità che conviene, alla quale non vogliamo rinunciare. Parassiti e pagliacci, che si guardano dall'esterno e tergiversano. Che si guardano dall'interno e scappano. Che si guardano nella finzione sul grande schermo, si prendono per mano e finalmente si sentono a casa.

"Sono stato egoista, cattivo e crudele. Un collega difficile con cui lavorare. Molti di voi qui seduti in platea mi hanno dato una seconda possibilità, ed è lì che viene il meglio dell'umanità" (Joaquin Phoenix).

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Casertana di origine, napoletana di adozione. Laureata in Lingue e Letterature Straniere all'Università L'Orientale di Napoli, lavora a Fanpage.it dal 2010, anno in cui il giornale è nato. Caposervizio dell'area spettacolo.
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