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Opinioni

Riccardo Scamarcio funziona nel cinema straniero e non è solo questione di essere belli

Da ‘Il sapore del successo’ a ‘John Wick 2’, il ruolo di Santino D’Antonio nel film con Keanu Reeves è solo l’ultimo di una serie di lavori in produzioni internazionali che l’attore italiano ha inanellato negli ultimi 4 anni e, a differenza di altri ‘belli del cinema italiano’ come Raoul Bova, sembra sempre di più che Scamarcio abbia le caratteristiche giuste per fare il salto.
A cura di Gabriele Niola
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scamarcio john wick

Ai più distratti la presenza di Riccardo Scamarcio nel ruolo di nemico principale di Keanu Reeves in John Wick 2 può sembrare un’improvvisa e inattesa novità. In realtà sono 3-4 anni che l’attore italiano lavora in produzioni straniere con una certa continuità (un film l’anno circa) e da poco ha cominciato ad insinuarsi anche nel cinema americano. Lo avevamo visto in Il Sapore del Successo, con un ruolo comprimario nella cucina di Bradley Cooper, e lo vedremo di nuovo in Andorra (che però è una produzione australiana con Guy Pierce e Gillian Anderson). Sono dei passi, dei tentativi di creare una carriera nuova e diversa come così raramente capita agli attori italiani.

Recentemente Pierfrancesco Favino aveva avuto delle buone occasioni, prima il ruolo minuscolo in Una Notte Al Museo, poi le parti nei film di Ron Howard (da Angeli e Demoni a Rush) poi ancora il terzo film di Narnia e un piccolo ruolo in World War Z, tutti tentativi che non sono mai diventati qualcosa di più di un caso isolato. Sembra invece che Scamarcio abbia qualche carta in più da giocarsi in campo internazionale, nonostante spesso sia considerato meno versatile, meno tecnico e meno completo di altri attori.

Infatti nonostante quel che si possa credere recitare in produzioni straniere non è solo questione di bravura, anzi. Ce l’ha insegnato tutta la storia di Hollywood e di come l’industria americana abbia assorbito star straniere nella propria orbita: non sono gli interpreti più completi o di maggiore intensità quelli che più facilmente si integrano oltreoceano. Non è insomma un concorso di bravura. Basta dare un’occhiata al livello degli attori non americani nelle produzioni hollywoodiane per capire che di Christoph Waltz ce ne sono pochi, mentre di Omar Sy ce ne sono di più, cioè attori dotati di una presenza scenica fuori dal comune più che di una tecnica recitativa straordinaria. Per arrivare a quel livello in cui non si viene scelti per personaggi italoamericani (livello in cui gioca al momento Scamarcio), ma i personaggi stessi vengono modificati per diventare italoamericani in virtù della presenza di un certo attore, occorre quindi più una dote innata che un’abilità maturata. Poi come sempre è anche una questione di testa, bisogna adattarsi a lavorare in un altro paese, con altri ritmi, altre pretese e altre difficoltà. Ma su questo non è dato sapere.

Quel che sappiamo è che Riccardo Scamarcio, che da noi ha fatto una gran carriera coprendo generi popolari e film d’autore, lavorando fino anche come produttore, ha un volto particolare e una presenza strana e inconsueta. Non è solo questione di essere belli (per quanto sappiamo bene quanto sia importante per il cinema americano) ma di avere un carisma unico, saper stare sul set, porsi all’obiettivo e imporsi allo sguardo. Gli attori banali pullulano ad Hollywood, non c’è bisogno di prenderli fuori. Invece da chi porta con sé una parlata straniera il cinema americano si aspetta sempre qualcosa di fuori dai canoni, qualcosa che non gli somigli. È questo probabilmente uno dei motivi per i quali Raoul Bova, che pure ad un certo punto con Alien vs. Predator ha avuto la sua occasione, non è riuscito a sfondare.

Con i ruoli in produzioni francesi (Dalida), inglesi (Effie Gray – Storia di uno scandalo) e euroamericane (Third Person), senza contare la comparsata in To Rome With Love di Woody Allen (ma lì si giocava in casa) è dal 2013 che Scamarcio si cimenta a vari livelli con set, registi e sceneggiature diverse da quelle italiane nonché con uno stile di lavoro molto differente, come racconta chiunque abbia fatto quel passaggio. Non è più come nel 2009 quando il regista greco Costa-Gavras lo volle come protagonista per Verso L’Eden, film da festival bellissimo ma in cui Scamarcio recitava senza parlare mai, preso per la sua apparenza e per quanto incarnasse bene il personaggio che serviva alla storia. Ora sempre di più i ruoli piccoli o grandi che interpreta hanno qualcosa di quell’attore che conosciamo dalle produzioni italiane.

Si vede bene in John Wick 2, in cui Scamarcio è l’unico di tutto il film a non prendere né dare botte, eppure riesce a coniugare con il proprio stile e la propria personalità quell’atteggiamento sopra le righe, esagerato e di grande intrattenimento, che il cinema hollywoodiano chiede agli attori. Se in Italia ogni ruolo è una storia a sé, in America le parti sono molto legate ai precedenti, agli stereotipi, ai cardini dei generi. Allora il cattivo deve essere originale ma somigliare anche molto agli altri cattivi del suo tipo, l’aiutante deve essere in linea con ciò che sappiamo essere le caratteristiche degli aiutanti ma anche avere una sua autonomia. Non è facile per niente. In John Wick 2 il suo Santino D’Antonio ha tutti i tic, le manie per lo stile e la flemma dei gangster italoamericani che il cinema racconta, ma anche una certa ansia, un’impazienza che appartengono a Scamarcio e che è riuscire a strizzare e far passare anche in questo ruolo, facendogli fare il passaggio da banale a originale.

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