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Opinioni

Sono passati 15 anni ma Zoolander è ancora lo specchio dell’uomo moderno

Finalmente torna in sala Zoolander e sembra non essere passato un giorno da quando nel 2001 prevedeva l’ossessione per l’immagine, il culto della rappresentazione e le espressioni a bocca stretta (siano esse Magnum o Blue Steel).
A cura di Gabriele Niola
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Lui c’era arrivato per primo. All’ossessione per l’estetica e il culto della propria immagine Ben Stiller ci era arrivato circa 20 anni fa. Era il 1996 quando inventa il personaggio di Derek Zoolander in un video per la serata di premiazione del canale di moda VH1, modello uomo completamente idiota ossessionato dal suo essere bello in modo assurdo. 5 anni dopo Ben Stiller gira un intero film a lui dedicato che va malissimo in sala, complice un’uscita infausta il 28 Settembre 2001, a soli 17 giorni dall’attacco alle Torri gemelle. Il disastro però viene riparato dal mercato Home video e dalla tv, così Zoolander in pochi anni diventa pane quotidiano per tutti, perché intercetta e prende giro una mania di lì ad esplodere.

Questa settimana, dopo circa 15 anni, esce l’atteso sequel del film, Zoolander 2, in cui il modello, assieme all’amico e rivale Hansel, torna da un esilio autoimposto e trova un mondo della moda cambiato, oltre ovviamente alla consueta terribile minaccia mondiale. Tuttavia questo aggiornamento di quel tipo di satira al mondo della moda e dei modelli dei nostri anni, non fa che mettere in mostra ancora di più quanto l’idea alla base di Zoolander fosse avanti sul suo tempo. L’ossessione per se stessi, il culto della rappresentazione, le espressioni a bocca stretta (siano esse Magnum o Blue Steel) sono arrivate a tutti da quando i social network consentono ad ognuno di gestire e “lavorare” sulla propria immagine pubblica come fossero dei modelli. In 15 anni il film di Ben Stiller poteva passare ed essere lentamente dimenticato, invece ha continuato a rimanere centrale, citato e tirato in ballo perché sempre più pregnante.

Quando Derek Zoolander in questo film usa il bastone da selfie in macchina non è un “aggiornamento” al presente del personaggio ma il naturale posizionamento nel mondo moderno di una figura che già era così 15 anni fa. Nato negli anni in cui prendeva piede la moda metrosexual (uomini che curano il proprio aspetto non meno delle donne, per dirla in due parole) e di nuovo in sala adesso, Zoolander, oltre a rimanere esilarante, continua a far ridere su qualcosa che importa. Sebbene la trama sia sempre più grandiosa ed esagerata, più fumettistica e grottesca, sebbene la partecipazione delle star e dei volti noti sia ancora più importante e sebbene infine passi da grottesco a demenziale, lo stesso è lo specchio deformante delle nostre ossessioni.

Con una più decisa e marcata eterosessualità, Zoolander 2 non lavora più sull’ambiguità del primo film ma mostra il modello come un uomo che desidera le donne, posizionandolo con ancora più decisione come simbolo del termine di un certo tipo di virilità e punta massima di un tipo di uomo differente. Per quanto assurdo e paradossale Zoolander 2 continua ad essere il cinema comico più attaccato alla contemporaneità. 15 anni dopo, parlando degli stessi argomenti, è addirittura più centrato di prima.

Il segreto di Pulcinella del cinema infatti è quello di mettere una lente d’ingrandimento su ciò che il pubblico vive, di raccontare una storia che abbia a che vedere con i temi o le situazioni più importanti per le persone e metterne in scena un aspetto, darne una lettura. Per questa ragione Zoolander, a partire dal 2001, di anno in anno non ha fatto che guadagnare importanza. Quando all’inizio di questo sequel Justin Bieber viene crivellato di colpi (la medesima scena che si vede nel trailer) e prima di esalare l’ultimo respiro si scatta un selfie, sceglie il filtro Instagram migliore e poi pubblica, Ben Stiller riesce ad essere contemporaneo senza spostarsi di un passo da quelle idee che nel 1996 andavano in onda per la prima volta. Per quanto questo secondo film non riesca ad avere quella rapidità e quel ritmo che avevano reso il primo formidabile, troppo piegato sul desiderio di imitare il predecessore in ogni cosa, riesce lo stesso a tratti a ritrovare quell’umorismo devastante che suona sempre nuovo. Far ridere deformando qualcosa di estremamente vero, raccontando i mutamenti sociali.

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