Se parliamo dei titoli americani più attesi per l’autunno 2014 facciamo prima a dire chi non sarà al festival di Venezia. Non ci sarà Interstellar di Christopher Nolan, non ci sarà Inherent Vice di Paul Thomas Anderson, non ci sarà Gone girl di David Fincher, The Judge con Robert Downey Jr. e Robert Duvall, Equalizer con Denzel Washington di Antoine Fuqua e ancora mancherà il film sul caso di Meredith (girato da Michael Winterbottom). Hollywood ha disertato la 71esima edizione della Mostra del cinema di Venezia e il suo direttore Alberto Barbera presentando il programma completo non ha fatto nulla per nasconderlo in un impeto di giusto orgoglio. Non ha sostenuto di non aver voluto quei titoli nè ha accampato scuse, ha dichiarato anzi di aver molto corteggiato Inherent Vice e Gone Girl (i pezzi più grossi) ma che questi non saranno nemmeno a Toronto o Telluride, i due festival storicamente rivali di Venezia, bensì a quello di New York che per la prima volta nella sua storia ruba dei titoli alle manifestazioni più grosse. Mentre Interstellar per decisione della produzione non andrà a nessun festival.
Allora cosa è rimasto? Non poco, sia chiaro. L’America sarà rappresentata al Lido da Birdman di Iñarritu con Michael Keaton, Pasolini di Abel Ferrara con Willem Dafoe, Good Kill di Andrew Niccol (l’autore di Gattaca), la nuova commedia di Peter Bogdanovich più i nuovi film di Joe Dante e James Franco e infine Al Pacino in The Humbling di Barry Levinson. Il resto delle pellicole elencate in testa sono finite a Toronto in una specie di “equa” spartizione di quel che rimaneva in cui a noi sono andati i film degli autori più pesanti ma con meno star. Tuttavia se si vuol considerare questo un fallimento bisogna anche accordarsi su cosa sia un festival di cinema se una manifestazione che celebra l’esistente (per quello ci sarebbero gli Oscar) o una che scopre il nuovo.
Ad ogni modo cosa sia successo lo ha spiegato bene lo stesso Barbera in un’intervista a Screen Daily. Il direttore ha raccontato di aver capito che al momento le produzioni americane preferiscono puntare il più possibile sul mercato nazionale e non uscire quindi dai propri confini, o se proprio devono farlo puntare a territori più redditizi come la Russa o la Cina (un fenomeno che abbiamo già raccontato). Questo spiegherebbe perchè avrebbero disertato anche la più vicina e meno costosa Toronto molto meglio della solita motivazione che viene ripetuta come un dogma di fede: “Venezia costa troppo”. È molto presto e molto prematuro parlare di una tendenza, gridare alla morte del festival di Venezia e sciocchezze simili (solo l’anno scorso c’era Gravity, uno dei film più importanti dell’annata statunitense), tuttavia è evidente che sarà più difficile in futuro aggiudicarsi film hollywoodiani di peso se davvero vogliono badare più al mercato interno.
Ma è davvero così importante?
Stiamo parlando di film in alcuni casi straordinari che senza ombra di dubbio arrivano nelle nostre sale, spesso in contemporanea con il resto del mondo. Opere che non facciamo fatica a vedere che non hanno bisogno di chissà che promozione. Un festival invece ha il compito di valorizzare ciò che è più difficile vedere, portarlo nel nostro territorio e (magari) fargli ottenere una distribuzione che altrimenti non avrebbe ottenuto. Chi quest’anno ha visto Locke, il bellissimo film con Tom Hardy, ha perfettamente presente la situazione, quel film era a Venezia un anno fa e lì è iniziata una corsa che è riuscita a portarlo nelle nostre sale. Un festival lancia tendenze, scopre autori e racconta in tempo reale ogni anno cosa stia succedendo al cinema. Certamente la presenza di star grosse e di peso (quindi americane) è importante per il richiamo generale della manifestazione, fanno spettatori, attirano curiosi e calamitano la stampa, sono insomma un condimento importantissimo ma non sono il piatto principale. Sono quello che fa arrivare anche a chi non si interessa troppo di cinema l’eco del festival. I meriti di Venezia, solo per limitarci agli ultimi anni, non sono stati i film giganteschi che ha saputo attirare ma l'aver scoperto Kim Ki-Duk, consacrato il genio di Ang Lee con due leoni d’oro, aver lanciato la nuova carriera di Matthew McCounaghey con Killer Joe, presentato il nuovo Heimat (un vero evento cinefilo) e spiegato all’Occidente le rivoluzioni del cinema orientale in 8 anni di gestione Mueller.
Per chi non si limita al solo cinema americano la mostra del cinema di Venezia 2014, sulla carta, non appare povera per nulla, avrà in concorso l’ultimo film di Shinya Tsukamoto, per la prima volta alle prese con la guerra, il nuovo film di Roy Andersson (talento purissimo della Svezia, non proprio giovane ma ancora non esploso definitivamente), The Cut di Fatih Akin, il genio di La sposa turca e Soul Kitchen che da qualche anno non si faceva sentire, Joshua Oppenheimer che torna sui luoghi del pazzesco The act of killing (uno dei migliori documentari degli ultimi anni), il nuovo film di Ann Hui (e chi ha visto A simple life già sbava) e infine Italy in a day, l’esperimento con cui Gabriele Salvatores ricalca il Life in a Day di Ridley Scott e il nuovo film girato in America di Saverio Costanzo. Soprattutto ci sarà tutto ciò che al momento ancora non conosciamo e scopriremo lì, come ogni anno la parte migliore del festival.