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“Apes Revolution”: titolo sbagliato per una Rivoluzione inesistente (RECENSIONE)

Nel sequel di Reeves, le scimmie vivono, ormai, nella foresta di San Francisco. I primati sono portati alla rivolta dagli uomini, che ne scatenano l’ira, altrimenti confinata ai margini della città. Il titolo originale, infatti, è “L’Alba del Pianeta delle Scimmie”, che lascia intendere l’evoluzione delle stesse e non la rivoluzione.
A cura di Ciro Brandi
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Ne è passato un bel po’ di acqua sotto i ponti dal 1968, quando Franklin J. Schaffner dirigeva “Il pianeta delle scimmie”, film di fantascienza basato sul romano “La planète des singes” di Pierre Boulle. Gli spettatori di tutto il mondo furono estasiati – e scossi – da quella pellicola, così ben fatta e rivoluzionaria per l’epoca, che ottenne 3 nomination agli Oscar del 1969, riuscendone a portare a casa uno, alla carriera, a John Chambers, per il trucco. Da allora, Hollywood ha sfornato  quattro sequel – “L’altra faccia del pianeta delle scimmie”(1970), “Fuga dal pianeta delle scimmie”(1971), “1999 – Conquista della Terra”(1972), “Anno 2670 – Ultimo atto”(1973); due serie tv (“Il pianeta delle scimmie”, 1974 e “Ritorno al pianeta delle scimmie”, 1975); un remake, diretto da Tim Burton, “Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie” (2001) e due reboot: “L’alba del pianeta delle scimmie”(2011) di Rupert Wyatt e l’ultimo, atteso film “Apes Revolution: Il pianeta delle scimmie”, di Matt Reeves, in uscita il 30 luglio. Il successo è stato a fasi alterne, per esempio il remake di Tim Burton, con Mark Wahlberg, ottenne un discreto incasso, ma critiche discordanti. Il reboot di Wyatt, invece, a fronte di un budget di 93 milioni di dollari ne ha incassati 481.800.873. Per Reeves, quindi, il compito è più arduo che mai, ma gli USA e i paesi del mondo in cui già è uscito, l’hanno premiato con 240 milioni di dollari in pochissimo tempo.

Diciamo sin da subito che c’è una diatriba tutta italiana per quanto riguarda la traduzione del titolo. “L’alba del pianeta delle scimmie” era stato usato nel nostro paese per tradurre il tiolo originale del film di Wyatt, intitolato “Rise of the Planet of the Apes”, non sapendo quindi, che alcuni anni dopo Reeves avrebbe intitolato il sequel proprio “Dawn of the Planet of the Apes”, dove Dawn significa proprio “Alba”. Detto questo, si è pensato ad un titolo del tutto nuovo, inserendo la parola “Rivoluzione” all’interno di un contesto dove la rivoluzione (volontaria) c’entra ben poco, e dove sarebbe meglio parlare di "evoluzione" dei primati (come affermato anche dallo stesso regista in un'intervista), che infatti non scatenerebbero mai una guerra. Se ben ricordate, il film di Wyatt si era concluso con le scimmie che fuggono verso la foresta, dopo essersi liberate dalla cattività. Il farmaco T-113 le ha rese più evolute, ma è diventato un virus letale per l'uomo, sterminandolo quasi interamente. Reeves riparte dieci anni dopo, dove ritroviamo le scimmie guidate da Cesare (Andy Serkis) che si sono invece moltiplicate ed evolute, hanno costruito la loro comunità nella stessa foresta di Muir (San Francisco), gettando le basi per una nuova società. Gli ultimi uomini vivono in quel che resta della città, guidati da Dreyfus (Gary Oldman), senza energia elettrica e mezzi di comunicazione. Nonostante la fiducia che si instaura tra i due mondi, si capisce subito che la tregua non avrà lunga durata. Il concetto che colpisce di più – e conferma il fatto che il titolo italiano sia totalmente sbagliato – è quello che sono proprio le scimmie a volere la pace, che cercano di restare isolate nella loro foresta, stuzzicate dalla razza umana che vuole imporre nuovamente il proprio dominio su una Terra che, tra l’altro, ha distrutto con le proprie mani.

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Tematiche sempre attuali rafforzatesi col tempo

Apes Revolution: Il pianeta delle scimmie”, come tutti i suoi predecessori, offre tantissimi spunti di riflessione, che nel tempo si sono ripetuti e rafforzati. Reeves (regista esperto ed apprezzato di film com “Cloverfield” e “Blood Story”) mette sulla bilancia temi, purtroppo, sempre attuali come razzismo, intolleranza, spirito di sopravvivenza, voglia di supremazia sui popoli, tutti concatenati tra loro in un crescendo di odio e azioni meschine che sfoceranno nella guerra finale. I due leader delle rispettive fazioni, Dreyfus (Gary Oldman) e la scimmia Cesare (Andy Serkis), sono persone sagge (più il secondo, rispetto al primo), eppure non riescono a trovare un compromesso per vivere su un pianeta ormai devastato, dove non c’è più nulla da conquistare se non la serenità di poter continuare a vivere. Certo, la componente “scimmiesca”, a tratti, spaventa un po’ perché numericamente molto più elevata di quella umana, feroce nel difendere il proprio territorio, ma d’altronde è colpa degli umani se queste si sono moltiplicate ed evolute all’infinito, e adesso i loro stessi esperimenti gli si sono rivoltati contro.

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I punti forti del film

Al di là del didascalismo di base, i punti forti del film di Reeves sono rappresentati da una sceneggiatura scritta coi controfiocchi da Mark Bomback, Rick Jaffa e Amanda Silver, che non sfocia mai in frasi fatte ed inutilmente “eroiche”, e soprattutto dai meravigliosi effetti speciali della Weta Digital, compagnia fondata da Peter Jackson, Richard Taylor e Jamie Selkirk nel 1993,e che da allora non smette mai di stupire. Il lavoro fatto sulla resa delle scimmie e, soprattutto, su Andy Serkis, nei panni di Cesare, ha dell’incredibile. La mimica, i movimenti, le coreografie e le scene d’azione sono talmente credibili da risultare quasi reali. A completare lo spettacolare quadro di Reeves ci sono i fantastici attori scelti, a cominciare proprio da Serkis, celebre per la sua interpretazione di Gollum/Sméagol nella trilogia cinematografica de “Il Signore degli Anelli” e che vedremo anche in “Star Wars: Episodio VII”, che offre una maestosa e sconvolgente interpretazione di Cesare, facendo sfigurare perfino Gary Oldman, nei panni di Dreyfus e Jason Clarke in quelli di Malcolm, decisamente meno definiti rispetto al Capo delle Scimmie. Le scimmie di Reeves sono decisamente da Oscar, anche se è troppo presto parlarne, ma l'Academy dovrebbe tenerle seriamente in conto per le premiazioni del prossimo anno.

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Le scene più impressionanti (SPOILER)

In “Apes Revolution” ci sono scene dall’impatto narrativo e visivo talmente forti che vi resteranno impresse per molto tempo. Il primo incontro tra Malcolm (Jason Clarke) e Cesare avviene dopo un episodio molto spiacevole e che potrebbe causare la morte immediate dell’esploratore, e di tutti i suoi simili, ma la scimmia lo lascia, incredibilmente, andare. Cesare è il saggio, non vuole assolutamente scatenare una guerra che avrebbe conseguenza catastrofiche, anche se deve tenere conto di tutti i pareri contrastanti delle altre scimmie che chiedono di dare una lezione agli umani, in un’altra scena ad alta tensione del film. I limiti entro i quali gli umani non devono spingersi sono definiti nella scena in cui le scimmie (alcune a cavallo) si recano al palazzo dove sono asserragliati gli umani, guidati da Dreyfus, ma, ancora una volta, gli animali non attaccano l’uomo, bensì lo invitano a lasciarle perdere. Chi è vittima e chi carnefice? Ve lo state ancora chiedendo?

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