Si tratta del secondo libro più tradotto al mondo (il primo, come noto, è La Bibbia), una vera istituzione della letteratura per l’infanzia poi riscoperta in età adulta, e ora è anche un film animato.
Il piccolo principe che ha esordito fuori concorso qui a Cannes e che arriverà nei cinema italiani il 1° Gennaio grazie alla Lucky Red, non è certo il primo tentativo di mettere in immagini il libro di Saint Exupéry ma in un certo senso è forse il più completo e ardito. Diviso in due parti e guidato da un personaggio inventato, una bambina che l’aviatore che fa da narratore al libro (ormai anziano) introduce al mondo del piccolo principe, il film mette in scena tutto quello che conosciamo della storia più qualcosa che va oltre.
Non è stato un progetto facile quello di portare al cinema Il piccolo principe e ha richiesto l’aiuto di diversi nomi importanti. Nomi che tutti conoscono come James Franco, Jeff Bridges, Ricky Gervais, Rachel MacAdams, Benicio Del Toro e Paul Giamatti (doppiatori della versione originale, per l’Italia sostituiti tra gli altri da Stefano Accorsi, Toni Servillo e Paola Cortellesi) e nomi che in pochi conoscono ma nell’industria contano parecchio, i migliori tecnici dei grandi studi di animazione come Dreamworks e Pixar, uniti in un progetto indipendente guidato da Mark Osborne, già regista di Kung Fu Panda.
Prima scoperto e letto clandestinamente dalla bambina protagonista lungo tutta un’estate, poi incontrato in prima persona Il piccolo principe diventa al cinema una storia in più parti, non solo il ricordo di un aviatore ma anche il presente di una protagonista che lo andrà a trovare. Alla ricerca della sua rosa, quella che nel libro lascia sul suo piccolo pianeta, il principe ormai adulto in realtà torna alla ricerca del se stesso bambino, cioè di quell’innocenza e quello spirito che animano il libro. Purtroppo è proprio questa seconda parte ad avvilire il film. Perchè se nella prima con il buon espediente di un personaggio che introduce un altro al mondo dei campi di grano, delle volpi amiche, dei re ecc. ecc. si riesce in un certo senso a dare onore alla parola di Saint Exupéry, nella seconda sembra di assistere ad un sequel che racconti che fine abbiano poi fatto quei personaggi. Neanche a dirlo gli esiti non sono all’altezza delle premesse.
Accolto nondimeno con applausi, il film di Mark Osborne convoglia molto di quello che l’animazione di nuova generazione ha inventato (ovvero i mondi generati al computer) con molto di quello che l’animazione è sempre stata (le grandi invenzioni del disegno a mano libera) fino a sperimentare qualcosa della stop motion. Diviso in tre “universi narrativi” il film è infatti per la sua gran parte in computer grafica ma vira sull’animazione in 2 dimensioni quando le pagine e i disegni originali di Saint Exupéry prendono vita e infine diventa stop motion solo nelle sequenze che mettono in scena momenti dalla storia originale. Così ogni dimensione ha il suo tratto, il suo stile e la sua dimensione emotiva, lasciando quella più concreta e tangibile (la stop motion si fa fotografando della plastina, materiale reale) alla parte più emotiva.
Si tratta di una delle molte soluzioni che il film mette in piedi per cercare di ricalcare la potenza del testo originale, questo sforzo d’avvicinamento però non fa che confermare quanto non sia possibile una simile impresa. Più si avvicina al libro infatti più il film sembra affermare la propria distanza incolmabile. Forse sarebbe stato più opportuno stracciare il testo di partenza e lavorare con materiale tutto originale solo “ispirato a”, che cercare un’impossibile replica di un’esperienza che ha senso solo su carta stampata.