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Roman Polanski sulle accuse di stupro: “Cercano di trasformarmi in un mostro, è una maledizione”

Il regista per la prima volta replica, in un’intervista esclusiva a Paris-Match, alle accuse di stupro e violenza mosse dalla fotografa francese Valentine Monnier. “È tutto falso, questa storia è aberrante”. Restano valide le accuse di stupro di una minore nel 1975 per le quali è stato processato negli Usa: “Ho commesso un fatto, ma ora è la mia famiglia a pagarne il prezzo”.
A cura di Giulia Turco
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"Stanno cercando di trasformarmi in un mostro". Così il regista Roman Polanski si difende nella sua prima intervista dopo le accuse di stupro mosse nei suoi confronti, da parte della fotografa francese Valentine Monnier. Rilasciata al periodico Paris-Match, l'intervista uscirà in versione integrale domani, sul settimanale parigino.

Le accuse di violenza da parte di Valentine Monnier

Per la prima volta Polanski replica, punto per punto, alla questione delle violenze sessuali che lo ha travolto, dopo le dichiarazioni della Monnier al quotidiano francese Le Parisien. Lei era una giovane fotografa di 18 anni, lui ne aveva 43. A distanza di quasi mezzo secolo, la donna non ce l'avrebbe più fatta a tacere e ha dichiarato che nel 1975 è stata violentata dal cineasta, nel suo chalet di Gstaad, in Svizzera. Un peso enorme per il regista di origine polacca, che ha compromesso, tra l'altro, anche la promozione della sua ultima opera "J'accuse – L'ufficiale e la spia". Come già aveva fatto sapere tramite le parole dei suoi legali, il regista è tornato a negare totalmente ogni tipo di accusa da parte della Monnier:

Ricordo appena di lei. Ed è evidente che non ho nessuna memoria di ciò che lei racconta, perché è falso. Nego tutto. Il suo viso sulle foto pubblicate mi dicono qualcosa, ma niente di più. Lei racconta che un'amica l'aveva invitata a trascorrere qualche giorno da me, ma casualmente non ricorda più chi sia! È facile accusare dopo che sono passate decine di anni e quando si sa che non ci sono prove giudiziarie che possano discolparmi.

Non solo violenza sessuale. La fotografa ha raccontato di essere stata anche colpita dal regista e di essere stata costretta a prendere una pillola.

È folle! Io non colpisco le donne. Senza dubbio le accuse di violenza sessuale non facevano più scalpore, quindi serviva aggiungere altro. (…) Prende a testimonianza tre miei amici, che erano presenti nel mio chalet: il mio assistente Hercules Bellville, Gérard Brach e sua moglie, Elisabeth. I primi due sono morti – è comodo, non possono più confermare né respinge quello che lei sostiene. Quanto alla signora Brach, il giornale (Le Parisien) non è mai riuscito a contattarla. (…) Questa storia è aberrante.

La condanna precedente per violenza sessuale

Resta una conferma invece, il precedente ormai noto della violenza sessuale da parte di Polanski nei confronti di una minore, risalente al 1977, per il quale il regista è stato condannato negli Stati Uniti, dove tutt'ora vige la sua estradizione. Polaski dice di essersi abituato ad essere sotto accusa, ma non vuole che a scontare il prezzo di quell'episodio siano i suoi due figli e la moglie, con i quali oggi vive in Francia e che spesso hanno ricevuto minacce, come lui stesso racconta:

Dopo tanti anni, ancora cercano di fare di me un mostro. Mi sono abituato alla calunnia, mi sono fatto un guscio. Ma per i miei figli, per Emmanuelle, è terribile. È per loro che parlo: per me, non spero neanche più di cambiare le cose, ma loro soffrono enormemente. Ricevono insulti, minacce sui social. I ragazzi me lo nascondono spesso per proteggermi, ma lo scopro da Emmanuelle. (…) Certamente io sono responsabile. Nel 1977 ho commesso un fatto, ma è la mia famiglia che ne sta pagando il prezzo quasi mezzo secolo dopo. I media si sono gettati addosso a me con una violenza inaudita. Catturano ogni falsa accusa, anche se è assurda e priva di contenuto, perché così possono rivangare quella vecchia storia. È come una maledizione che torna ogni volta e io non posso farci niente…

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