Risate in sala e sonori "buuu" alla fine, non si può dire che non se li siano meritati sia il film, Grace di Monaco con Nicole Kidman nei panni della principessa, sia il Festival di Cannes che con questo disastroso biopic ha deciso di aprire la 67esima edizione. Non eccessivamente lungo nel minutaggio (solo un’ora e quaranta) ma interminabile nella percezione del pubblico, il film di Olivier Dahan ripercorre un momento particolare della vita di Grace Kelly, i giorni di crisi del principato di Monaco che la necessaria finzione scenica vuole essere stati anche i giorni della sua crisi personale, indecisa se tornare a recitare (Hitchcock le aveva proposto il ruolo di protagonista in Marnie che poi andrà a Tippi Hedren) o rimanere nel suo isolamento dal cinema a Monte Carlo.
L’apertura di un grande festival raramente coincide con un grande film, più spesso con un grande successo. Storicamente i film che aprono manifestazioni come Cannes sono opere rigorosamente fuori concorso che poco hanno a che vedere con il cinema autoriale e molto con il divismo o l’incasso, sono eventi mondani più che filmici. Di certo poche volte è capitato che fosse un flop simile. Nessuno si aspettava nulla da Grace di Monaco (oltre alla famiglia Grimaldi anche uno dei suoi produttori si era dissociato dal film), lo stesso il film che abbiamo visto è stata la peggior apertura immaginabile per un festival come Cannes.
Nella splendida confezione di Olivier Dahan la storia della vera crisi tra il principato di Monaco e la Francia è ridotta ad una trama da pettegolezzo, una questione di piccoli intrighi di corridoio, manovrine astute solo sulla carta che mettono nel sacco figure storiche come Charles de Gaulle facendole apparire come ridicole macchiette (“Io vi rispedisco all’età della pietra!” grida ad un certo punto il capo di stato francese al principe Ranieri, con sommo divertimento del pubblico in sala). Attraverso colpi di scena che farebbero la felicità di qualsiasi lettrice Harmony la famiglia Grimaldi scopre un traditore al suo interno, e nell’ora più buia la soluzione al gravissimo problema politico (erano gli anni in cui il principato aveva azzerato la tassazione e attirava tutte le aziende francesi con grande ira di De Gaulle che aveva imposto un embargo sulla nazione, arrivando a minacciare la guerra) è opera dell’americana la quale, grazie al pragmatismo con cui è caratterizzata fin dall’inizio del film, risolve tutto in un gran ballo finale attraverso un discorso commovente. Nemmeno in un film di Disney….
Non è stata quindi una controversia sulla ricostruzione, nè un eccesso di zelo o di veleno nel mettere in scena i problemi della coppia Ranieri/Grace ma proprio un tonfo cinematografico che ha giustamente portato i fischi. Ne fanno le spese in prima persona i due protagonisti Tim Roth (come sempre preciso e diligente nel suo interpretare Ranieri) e Nicole Kidman, bambola sballottata in una trama insensata, ripresa come una piccola madonna di paese sempre sognante e con gli occhi lucidi, truccata fino all’inverosimile per nascondere il volto devastato dalla chirurgia estetica. Addosso a loro finisce una trama fatalista che vuole la vita di Grace piena di “premonizioni” (sia all’inizio del film che in mezzo la vediamo correre in macchina sulla scogliera) e di tirate moralistiche, che ad uno svolgimento armonico preferisce di gran lunga l’esibizione di talent e l’elenco di nomi. Aristotele Onassis, il già citato Alfred Hitchcock ma poi anche un’implausibile Paz Vega nei panni di Maria Callas (senza nemmeno la decenza di una protesi al naso), sono tutti più volte presentati con nome e cognome, come in un fotoromanzo.
Stasera ci sarà la prima ufficiale in abito da sera, alla presenza del cast. Sarà una valanga di applausi come il protocollo del festival impone. Da domani comincia la competizione vera.