La vera storia di Jordan Belfort e degli abissi di depravazione cui è giunto nella sua scalata finanziaria raccontata in The wolf of Wall Street ha realizzato circa 4 mln di euro nel primo weekend di programmazione in Italia. Un incasso eccezionale, sicuramente alimentato dalla presenza di Di Caprio (volto tra i più potenti quando si tratta di attirare pubblico) ma anche significativo di quanto ci interessi oggi un film che affronta di petto e senza far sconti (lo si vede dai trailer, dalla cartellonistica e anche solo dal titolo) il mondo della finanza.
Tuttavia per avere questa storia vera che pare finta, girata rimanendo fedele al resoconto che ne ha fatto lo stesso protagonista nella sua autobiografia (della quale Scorsese si disse sconvolto per la serenità con la quale descriveva la propria degenerazione) è stato necessario vivere sulla nostra pelle il crollo di qualsiasi ideale legato alla borsa, è stato necessario “arrivarci”.
La storia di come la finanza è stata rappresentata al cinema è infatti la storia parallela delle speranze, delle paure e dei sogni che la nostra società ripone in essa che è l’immagine stessa del sistema capitalista, cioè della nostra economia. Soprattutto è la storia di come siamo arrivati alla maniera in cui la vediamo oggi.
In La vita è meravigliosa, film del 1946 quindi arrivato solo un quindicennio dopo la crisi del ‘29, il protagonista vuole suicidarsi per aver perso il denaro che serviva ad evitare la bancarotta. Comincia male quindi il rapporto tra cinema e finanza, all’insegna del monito a non esagerare, e prosegue negli anni ‘60 con La Stangata e la sua sala corse che nulla ha a che vedere con la finanza ma che in tutto e per tutto ricorda i meccanismi della borsa, con le scommesse al posto delle azioni e le quotazioni urlate, solo che è tutta un’immensa truffa in cui non si può vincere.
A cambiare radicalmente questa visione pessimista del gioco d’affari sono gli anni ‘80 (che sono anche gli anni in cui entra in attività Jordan Belfort). Il decennio del capitalismo furente inizia con Una poltrona per due e prosegue con commedie romantiche come Una donna in carriera e il film simbolo del genere, Wall Street. Tutte pellicole che mettono in scena la borsa come il luogo dove si costruiscono le fortune, un contesto molto esclusivo di livello in cui trovare marito, diventare magnate da che si era barbone e in cui operano squali sofisticati e implacabili.
La finanza al cinema negli anni ‘80 è insomma desiderabile anche quando i cineasti non lo vorrebbero (noto l’aneddoto per il quale il Gordon Gekko di Wall Street, interpretato da Michael Douglas era scritto per generare disprezzo e invece è diventato un mito da imitare), e anche in Italia Renato Pozzetto è broker in Mia moglie è una strega e di nuovo ha a che fare con la finanza in Ricky & Barabba. La borsa è il luogo dove stare e dove cambiare in meglio il proprio destino.
Solo negli anni ‘90 la situazione comincia a cambiare. Un po’ ci pensano i Coen con Mister Hula Hoop, un po’ ci pensa un film determinante in materia come 1 Chilometro da Wall Street (in cui un criminale da poco diventa genio della finanza riciclando la sua esperienza) o anche il Danny De Vito di I soldi degli altri, e la borsa lentamente diventa un posto di criminali nel quale le fortune di perdono. I film di finanza diventano sempre più drammatici e sempre meno commedie, i protagonisti lungo la parabola del film perdono denaro o amicizie o legami e non guadagnano nulla. Non c’è più nessuna fiducia, si aprono le strade per la tragedia.
Sono infatti gli anni 2000 a cambiare tutto, perchè effettivamente tutto cambia. La borsa al cinema ci arriva soprattutto con documentari e dal 2009 in poi l’argomento è di tale attualità che anche i film di finzione sono quasi tutti tratti dai molti e noti fatti di cronaca.Margin Call, Too big to fail e poi Inside Job e La frode sono solo degli esempi ma moltissima è stata la produzione agganciata alla realtà che della finanza ha raccontato gli ultimi istanti di vita. Grandissimi crack, tracolli mostruosi, giganti che perdono l’appoggio e immense banche che vedono sgretolarsi il loro mondo in una notte.
Talmente potente è stato l’eco di questa visione di mondo che ci è arrivato anche in Italia dove Andrea Molaioli ha girato Il gioiellino per raccontare (dietro falso nome) la storia del crack Parmalat.
A questo punto la storia del lupo di Wall Street Jordan Belfort e di come abbia realmente attraversato gli anni ‘80 e ‘90 della finanza in un eccesso di donne, droga e speculazione appare in una chiave diversa. La vera storia della Sodoma che ci ha portato all’inferno che viviamo ora. L’orgia di potere e delirio di onnipotenza che ha scatenato la crisi attuale.
Da sempre nel cinema di Martin Scorsese i peccati si lavano inevitabilmente nel sangue, e si paga per ogni singola malefatta, non certo in chiesa ma nelle case e per le strade. The Wolf of Wall Street non fa eccezione. Tanto era depravato il sistema allora, tanto lo stiamo scontando oggi.