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Opinioni

In corsa per gli Oscar: perchè Dallas Buyers Club dovrebbe vincere solo 3 premi

E’ uscito questa settimana uno dei film di cui probabilmente sentiremo parlare nella notte degli Oscar 2014. Ecco perché delle 6 nomination ricevute, solo tre meritano davvero il premio.
A cura di Gabriele Niola
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Con Jared Leto nel ruolo di non protagonista e Matthew McConaughey, l’attore che ha operato su di sè una delle più clamorose trasformazioni professionali degli ultimi anni, in quello di protagonista, esce questa settimana nelle sale italiane Dallas Buyers Club, che il 2 Marzo alla notte degli Oscar si batterà per la vittoria nelle categorie principali.

Con 6 nomination al suo attivo non è tra i più nominati in assoluto (American Hustle e Gravity guidano la classifica con 10 candidature, seguiti da 12 anni schiavo con 9) tuttavia tra tutti Dallas Buyers Club è forse quello che più ha messo un’ipoteca almeno su un paio di statuette. Se infatti la lotta tra grossi titoli quest’anno potrebbe far sì che non sarà un film solo a monopolizzare i premi principali (com’è spesso capitato), questa storia vera di un bifolco, razzista, omofobo e ignorante che, scopertosi malato di AIDS nei primi periodi in cui la malattia si andava diffondendo negli Stati Uniti, decide di trovare medicinali alternativi e poi cominciare a distribuirli ad altri malati in barba alle leggi, è tra le più accreditate per il trionfo dei suoi due attori.

No al Miglior Film – Nonostante l’insperato successo di pubblico e critica (il film è costato pochissimo per gli standard hollywoodiani: 5 milioni di dollari) non è infatti nella categoria Miglior Film che Dallas Buyers Club può essere considerato un avversario temibile. La statuetta principale secondo i bookmaker  pare essere già nelle mani di 12 anni schiavo e se così non fosse c’è sempre American Hustle ad apparire come un candidato più appetibile per i giurati dell’Academy.

Si al Miglior Attore non protagonista – E’ invece Jared Leto, con il suo omosessuale affetto da HIV dolce e comprensivo, in grado di sopportare le angherie dell’omofobo compagno di business ma dotato anche di una dolenza peculiare, a poter ambire alla vittoria. C’è una sorta di piacere tipico dei giurati degli Oscar nell’osservare un attore trasformare se stesso, e la maniera molto sottile, decisamente non macchiettistica e misurata con la quale Leto interpreta il suo gay dai tratti invece eccessivi (trucco, abiti, camminata…) e dal fisico androgino già gli ha fruttato un Golden Globe.I due premi, Golden Globe e Oscar, non hanno nulla in comune (sono assegnati da persone completamente differenti) tuttavia il fatto che i primi vengono assegnati circa un paio di mesi prima dei secondi tende solitamente ad influenzare l’Academy, puntando il dito sulle performances o i film “da vedere”.

Si al Miglior Attore Protagonista – Proprio per questo motivo l’altra vittoria ai Globe, quella di Matthew McConaughey (tutt’altro che a sorpresa), potrebbe aver aperto la strada a quella nella serata degli Oscar. Emerso con commediole spensierate e filmetti romantici McConaughey ha deciso 4 anni fa che sarebbe diventato un attore vero, ha rifiutato tutte le solite proposte che gli arrivavano e per un anno non ha proprio lavorato (visto che nessuno lo chiamava per film impegnativi), poi William Friedkin l’ha voluto per Killer Joe, mostrando a tutti che cavallo di razza fosse l’ormai 40enne. E da lì solo ruoli uno migliore dell’altro.
Questa storia di clamorosa seconda occasione già basterebbe a guadagnargli il favore della giuria, si aggiunga il fatto che per il ruolo ha perso 20 chili (avevamo già detto che la trasformazione fisica è quasi garanzia di vittoria da sè) e tutti gli indizi convergono.

Forse la Miglior Sceneggiatura Originale – I due scrittori Craig Borten e Melisa Wallack probabilmente non potranno molto contro Eric Singer e David O. Russell, in corsa con lo script di American Hustle. Tuttavia una loro vittoria sancirebbe il trionfo di una sceneggiatura che, a detta di Matthew McConaughey, gira ad Hollywood da circa 20 anni ed ha subito ben 137 rifiuti. Un eroe omofobico, una storia triste di HIV e un film ambientato nel passato (gli anni ‘80) sono secondo molti veleno per il boxoffice, da cui i diversi “No” ricevuti. L’improbabile ipotesi di una sua vittoria sarebbe un bel colpo.

No al Miglior Montaggio – Si tratta forse della nomination meno meritata tra tutte quelle ricevute. Il lavoro di editing estremamente ordinario del regista stesso, Jean-Marc Vallée, assieme a Martin Pensa, dona al film un andamento costante e dal passo allegro ma nulla di più, non merita certamente più dei virtuosismi di Christopher Rouse in Captain Phillips (un vero maestro) o del lavoro maniacale di Alfonso Cuaròn e Mark Sanger per Gravity.

Si al Miglior Trucco – Il lavoro della parrucchiera Adruitha Lee (meticolosa esperta di acconciature d’epoca che ha lavorato già in Walk the line, 12 anni schiavo e The artist) in collaborazione con la truccatrice Robin Matthews (esperta di eccessi impiegata in film fantastici come Il grande e potente Oz o Twilight) di certo meriterebbe più dei concorrenti Bad Granpa o The Lone Ranger, decisamente più clamorosi nei loro exploit e per questo meno raffinati e sottili.

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