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Opinioni

La scalata di Everest a ‘Venezia 72’ non riesce, è solo una parata di star

Arrivano Josh Brolin, Jake Gyllenhaal, Emily Watson e Jason Clarke ma l’apertura non replica il successo di pubblico e critica di Gravity e Birdman.
A cura di Gabriele Niola
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C’è un motivo per cui Everest è qui alla Mostra del cinema di Venezia ad aprire la mostra del cinema: le sue star. Assieme al regista Baltasar Kormakur (non proprio un tipo da festival, ha al suo attivo Contraband e il non propriamente autoriale Cani Sciolti), ci sono Josh Brolin, Jake Gyllenhaal, Jason Clarke e Emily Watson, solo una parte di un cast che include anche Sam Worthington, Keira Knightely e Robin Wright (le ultime due però non scalano la montagna del titolo, stanno a casa al caldo e comunicano via telefono con i protagonisti che gelano), in un film che ha il suo punto di forza nel rapporto con la realtà, cioè nel raccontare la vera disgrazia della doppia scalata alla cima dell’Everest del 1996. Negli anni precedenti cast ugualmente importanti (Clooney e Bullock per Gravity; Michael Keaton, Edward Norton, Emma Stone e Naomi Watts per Birdman) avevano accompagnato film alla loro altezza che non a caso sono finiti agli Oscar partendo proprio da qui, dalla Mostra, primo luogo in cui venivano proiettati e presentati.

Non sarà il caso di Everest, film decisamente più debole di questi, privo dell’audacia e della voglia di osare ma, come si è detto, pieno di star e ce n’è bisogno, specie da quando Martin Scorsese e il suo The Audition hanno dato buca perché il film non era pronto e dunque nomi come Brad Pitt, Leonardo Di Caprio e Robert De Niro sono quindi improvvisamente venuti a mancare. L’apertura del resto serve a questo, a mettere in mostra la potenza di fuoco del festival (per chi lo ricorda, solo per citare i tempi recenti, Cannes due anni fa aprì con un film più che discutibile come Grace di Monaco), avere anche un film che solletichi il palato fine è una coincidenza più che benvenuta ma non una conditio sine qua non. Per quello c’è tutto il resto della manifestazione.

La missione di Everest, se non altro, era quindi quella di essere un bel guilty pleasure, un film in 3D di scalate, con ricostruzioni digitale affiancata ad immagini girate a 5000mt e molto realizzato nei teatri di Cinecittà, una storia vera di ardore, morte e conquista. Purtroppo però il film che ci siamo trovati davanti stamane e che stasera sarà proiettato dopo la serata inaugurale con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la madrina Elisa Sednaiou (non uno accanto all’altra ma nemmeno troppo distanti), non centra troppo bene questa descrizione, è più un tentativo non riuscito di osare qualcosa di più, un film che non ha intenzione di divertirsi e nel farlo divertire il pubblico, ma più quella di riflettere sul rapporto che le nostre ambizioni hanno con il rischio di morte.

La trama è quella di un gruppo di scalatori amatoriali, ovvero persone con un altro lavoro che pagando una guida esperta e una società che li accompagna fino in vetta riescono a conquistare le montagne più impervie. Nel loro tentativo di arrivare in cima alla più ambita in assoluto incontrano poche difficoltà, giusto qualche contrattempo dovuto alla folla presente sul crinale di salita, il ritorno invece è la parte dura a causa di una tempesta e della brama di arrivare in cima anche di chi non sarebbe stato in grado. Gli ingredienti del catastrofico classico insomma ma senza la passione proibita per la distruzione, il costante pericolo di morte e la prossimità con la tragedia individuale. Senza il piacere di assistere ad una tragedia inventata ma con il peso di una che è accaduta. Insomma se nei catastrofici seguiamo vite diverse (l’attrice, il politico, la mamma, il bambino ecc. ecc.) a contatto con una evento traumatico e spaventoso, qui non approfondiamo mai le vittime ma seguiamo a distanza i loro problemi, come se la cronaca contasse più dello spettacolare.

Un pre-festival migliore con Orson Welles

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La vera goduria cinefila per frequentatori della Mostra è però stata proiettata ieri sera, a 24 ore dall’apertura ufficiale, un evento che si è svolto prima di tutto e che ha pre-aperto il festival mostrando due capolavori di Orson Welles, uno dei quali creduto perduto. Se infatti l’Otello è noto, mai era stato possibile vedere Il mercante di Venezia, mediometraggio mai completato per taglio dei fondi e rimesso insieme con cura e fatica da CinemaZero, raccattandone i vari pezzi in giro per il mondo, restaurandoli con il FilmMuseum di Monaco e supportandoli dove necessario con l’audio delle versioni radiofoniche della medesima opera realizzate da Welles. Un vero evento cinefilo che ha avuto risonanza immensa in tutto il mondo (del cinema) e che è stato non a caso posizionato prima che la Mostra, quella più potente e di richiamo avesse inizio, con una scelta di sobrietà e passione non indifferente.

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