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Opinioni

Checco Zalone è l’anticinema, ma ha vinto ancora con la comicità dell’odio

Con Quo Vado? Zalone si conferma uno dei comici più intelligenti e vivaci del panorama italiano, eppure i suoi film continuano a mostrare il grado zero del linguaggio cinematografico.
A cura di Gabriele Niola
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Non ci sono dubbi sul fatto che i film di Gennaro Nunziante, scritti e interpretati da Luca Medici (ovvero Checco Zalone), siano tra i più divertenti in circolazione in questi anni. Zalone fa ridere di pancia e di testa, non è una gran corpo comico ma sa odiare quel che rappresenta, trovando così le battute e le situazioni giuste. Soprattutto, da Sole a catinelle in poi, riesce anche a puntare la sua comicità in una direzione precisa, riesce a metterla a servizio di un’idea e una visione del mondo per dire qualcosa. Tuttavia, non ci sono nemmeno dubbi sul fatto che i quattro film del duo (Cado dalle nubi, Che bella giornata, Sole a catinelle e l’ultimo, Quo Vado?, in uscita il 1° Gennaio 2016) siano l’anticinema, poco più di una serie di monologhi filmati in diverse location. Come i suoi predecessori infatti Quo Vado? tutto quel che fa lo ottiene con la parola, senza mai usare il linguaggio delle immagini, le invenzioni visive o anche solo espedienti di scenografia e montaggio. Non c’è battuta, ironia o invenzione del film che non venga da una frase di Zalone o da un suo gesto, non c’è gag che non esca dal dialogo là dove il cinema di commedia è capace di sfruttare una parrucca come uno stacco di montaggio, un movimento di macchina o un effetto sonoro per lavorare a più livelli di percezione.

È la piaga di tutto il cinema dei comici televisivi, da Benigni fino a Siani passando per Pieraccioni, Francesco Nuti e via dicendo, tutti registi di se stessi, autori di film che non hanno altre idee se non inquadrare loro, farli parlare e intorno a loro immaginare situazioni che scatenino gag. Checco Zalone non dirige i film di cui è protagonista, ma non cambia molto. L’anticinema è la manifestazione dell’azzeramento delle possibilità e delle trovate che rendono un film originale e l’abdicazione ad un altro linguaggio, per l’appunto quello del monologo teatrale, in cui una persona fa tutto, mentre intorno a lui orbitano persone o scene che gli servono le battute.

In Quo Vado? le suddette scene sono tante e diverse, il film racconta infatti di un impiegato della Provincia attaccatissimo al suo posto fisso che, pur di mantenerlo, accetta trasferimenti incredibili, dalle montagne alla Sardegna, dalla Calabria fino al Polo, dove incontrerà l’amore. Il resto si può immaginare. In questa girandola per il mondo che lo porterà anche in Africa, Zalone ha modo di tracciare una parabola cattiva e per nulla mansueta contro la mentalità più radicata del nostro paese, quella della sicurezza, della tranquillità, del posto fisso che non c’è più e di tutto ciò che consente di non lavorare. Come sempre il suo personaggio è la personificazione dell’italiano peggiore, di ciò che critichiamo negli altri ma facciamo in prima persona. Lo scarto dal normale che crea la comicità viene dal fatto che Checco è più onesto degli altri, non nega con ipocrisia ma ammette con una certa fierezza qualsiasi efferata pigrizia: entra al lavoro tardi e trova il badge già timbrato, vive con i suoi genitori per non pagare le utenze, costringe chi fa domanda al suo ufficio a portargli omaggi, non sposa la sua fidanzata per non sistemarsi e sfrutta la famiglia di lei come può.

In questo l’umorismo di Zalone è fantastico, nell’elevare a regola ciò che tutti nascondono, in primis a se stessi, trova la maniera più efficace di mettere in ridicolo gli stessi spettatori. Con le dovute proporzioni è il medesimo movimento cercato da Alberto Sordi, un personaggio sempre negativo sullo schermo e sempre fiero dei propri atteggiamenti. Solo che il cinema di Checco Zalone non è mai vera commedia ma, per l’appunto, anticinema e come tale non riesce e non vuole andare fino in fondo. Quo Vado? a fronte di una prima parte se non altro brillante e colma di battute centrate, dalla metà in poi sprofonda nella banalità e nel buonismo. Gli ultimi fuochi sono il doppio ridicolo movimento del suo personaggio che vivendo in Norvegia prima si innamora della civiltà dei popoli nordici, vittima della più classica esterofilia, e poi rimane vittima della nostalgia più superficiale quando vede le vere immagini di Al Bano e Romina di nuovo insieme o entra in un pessimo ristorante italiano.

Quo vado? purtroppo infligge il colpo finale finendo con un grande ricongiungimento, un nuovo nato, il formarsi di una famiglia e la soluzione di tutti i problemi. Il personaggio pessimo diventa buono, capisce i suoi errori, fa beneficenza, si redime in tutti i sensi e riesce a rendere migliori anche i suoi pessimi genitori. Tutto ciò che era grottesco, meschino ed esecrabile all’inizio per l’avidità e la pavidità legate al posto fisso, diventa buono e gentile, carezzevole e conciliante. Come se Fantozzi alla fine del suo film diventasse una brava persona per amore, contagiando e raddrizzando anche il mondo che gli sta intorno. Gli stessi autori hanno spiegato che in origine il finale era diverso, l’idea era di chiudere il film con una nota amara prima della riconciliazione finale e dell’amore che salva tutto, lasciare Checco Zalone solo con il suo posto fisso riconquistato come uno Scrooge statale, un mostro che ha perso tutto ma è felice di avere il suo piccolo orto di irregolarità. Non è andata così e anche da questo si può misurare la differenza tra un film che fa ridere con delle ottime idee e il cinema di commedia riuscito, quello che osa e che sa di poter dire quel che vuole dire non solo con le parole ma anche con la forma.

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