“Oh Salma Hayek si è mangiata un cuore gigante senza dire nulla!” mentre lo dice Matteo Garrone è il primo a riderne e, in effetti, non servirebbe aggiungere altro.
Tre regni per tre favole estratte dalle molte contenute in Lo cuntu de li cunti di Giambattista Basile (raccolta di fiabe napoletane del ‘600, storicamente la prima mai fatta che ha ispirato i più noti Grimm e Perrault): una regina che non può avere figli ma che mangiando il cuore di un drago marino partorirà un bambino albino in una notte sola mentre contemporaneamente una serva farà lo stesso, dando vita ad un gemello di quel bimbo; una principessa desiderosa di trovare marito scelto tra chi risolverà un indovinello proposto dall’incauto padre, a vincere sarà un orco orrendo da cui fuggire; un re lussurioso si innamora della voce di una donna che non sa essere vecchia e brutta, lei fingerà di essere giovane fino a che, scoperto l’inganno verrà gettata dalla torre, per poi tornare sotto forma di ragazza giovane e bella. Per tutte queste storie l’impianto è quello classico e brutale, ma la resa visiva è pazzesca, un film in costume grandissimo e grossissimo, italiano al 100% ma girato in inglese e pensato per l’estero che esce da noi questa settimana.
“Guarda che Basile è una miniera, noi abbiamo scelto tre favole ma davvero ce n’erano tantissime altre da adattare. Infatti qua e là nelle nostre storie un po’ rimaneggiate abbiamo inserito elementi e particolari che ci piacevano da altre fiabe della raccolta” assieme a Garrone la sceneggiatura l’hanno scritta Massimo Gaudioso, Edoardo Albinati e Ugo Chiti eppure il film è tutto in inglese. Il racconto dei racconti è infatti il primo film di Matteo Garrone con un cast di star mondiali (oltre alla Hayek anche Vincent Cassel, Toby Jones e John C. Reilly) e stavolta il regista di Gomorra ha dovuto conformarsi agli standard internazionali invece di usare i suoi metodi e le sue tecniche da autodidatta. Non ha potuto far recitare gli attori praticamente senza copione (di solito gli spiega lui che devono fare e pretende che ad ogni ciak dicano cose diverse per arrivare al medesimo risultato, improvvisando tutto), non ha potuto tenere lui in mano la macchina da presa per decidere in ogni momento cosa guardare e non ha nemmeno potuto girare in sequenza cronologica (cioè il primo giorno la prima scena e l’ultimo giorno l’ultima), eppure lo stesso è riuscito ad ottenere dai divi quelle prestazioni che è abituato a tirare fuori dagli attori che scopre: “Vincent Cassel ha dei toni da commedia fantastici, poteva scadere in ogni momento nella macchietta e invece è perfetto”.
C’è un gusto tutto particolare per lo stupore in questo film in cui compaiono mostri orrendi in scene suggestive (la caccia sottomarina al drago è bella quasi quanto la fuga nei cunicoli da un orrido pipistrello gigante) ma anche paesaggi che una volta tanto non è sbagliato definire “da favola”, scenari naturali vergini per lo schermo che con una piccola spintarella di digitale diventano luoghi impossibili, esattamente a metà tra reale e immaginario: “Abbiamo cercato di riprendere i posti veri come se fossero ricostruiti in studio e quelle volte che abbiamo ricostruito in studio qualcosa abbiamo cercato di farlo sembrare vero”. Il risultato è un universo fatto di luoghi che non appartengono né interamente al nostro mondo né interamente a quello della fantasia.
Garrone ama il film che ha fatto, lo vuole promuovere al massimo e non teme di azzardare paragoni con Il trono di spade che forse sono più marketing che realtà (il suo film è ugualmente sofisticato e complesso ma ha davvero tutto un altro tono e un altro passo). La verità è che ha fatto un azzardo non da poco, un’opera grande e grossa costata 12 milioni di euro, piena di star e di grandissimo respiro. Dagli elementi in gioco pare un blockbuster americano e invece è qualcosa di profondamente europeo se non proprio italiano che è anche buono per il concorso del Festival di Cannes, ha possibilità di prendere premi? “Stavolta quel che mi interessa davvero è che tanta gente lo veda”.